sabato 16 maggio 2015

Ecco a Voi i vincitori della V edizione del nostro concorso: Mariana Gorczyca e Saša Ćetojević



Un nuovo finale per "IL NOME DELLA ROSA" di UMBERTO ECO
L’abbazia arse per tre giorni e per tre notti...Ma Io no. Come quale Io? Io, il Libro. 
Il mio nome è Poetica e sono stato scritto da un grande, uno dei maggiori, Aristotele. Se fossi una donna, mi sarei innamorata di lui. 
Che fronte! Che mani! Che dita!
Come sono riuscito, quella notte, a non bruciare tra le fiamme dell’inferno che avvolgevano la biblioteca dell’abbazia?
Vi racconto: Jorge da Burgos, il bibliotecario cieco, mi disse una volta che non sa come è – esattamente - il paradiso, ma per lui, questo dovrebbe apparire come una biblioteca.
Ma una biblioteca che brucia non somiglia al paradiso. Assomiglia all’inferno.
Come sono scappato? Vi racconto: Berengar de Arundel, l'illustratore, e Venantius de Salvemec, il traduttore, ambedue i più giovani del convento, mi hanno portato nella loro cella, per continuare una lunga discussione sulla commedia e sul ridere, discussione cominciata nello Scriptorium. Non erano soltanto i più giovani, ma anche i più allegri. Il ridere, per loro, gli scherzi, i giochi di parole erano parte del loro modo di essere, che era stato spesso punito dall'abate del monastero. Loro avevano proposto di leggere tutto per avere argomenti con cui giustificare la loro condizione quasi sempre allegra. Nel libro si dice che il riso è, di tutti gli stati umani, quello che cerca di più di ripetere il ritmo dell’ordine dell’universo, che gli antichi chiamavano kosmos e che significa armonia. Umorismo e riso costituiscono aspetti fondamentali delle nostre interazioni comunicative. 
Ecco perché tutti i racconti del mondo iniziano con "c’era una volta"... e si concludono con "e vissero felici e contenti". 
Un finale felice... è un desiderio universale. Quando uno non sa stare allo scherzo, fa fatica a comprendere un gioco linguistico, si dice che è “povero di spirito”. E allora, perché , ha detto Berengar de Arundel, leggiamo tanto, senza imparare l’importanza del riso per l’umanità? cosa hanno esclusivamente solo gli uomini? Il pollice e...il riso.
Fuori é una bella mattina, è il primo marzo.
Nello Scriptorium, ricostruito e rinato dalle ceneri, fa un po' freddo.
Sono seduto su una scrivania. La copertina di legno, ricoperta di foglie rosse e bordi in pelle di agnello, è aperta. Mi sento un libro aperto e questo mi fa felice.
Sento, di nuovo,  il pollice che tocca la mia pergamena, scritta con inchiostri rossi e neri. Sento che, di nuovo, vivo.

Per tutti quelli che imparano, amano e sanno ridere.

Mariana Gorczyca, Sighisoara, Romania

Un nuovo finale per "LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI" di PAOLO GIORDANO
L’aula principale della Galleria comunale era totalmente vuota. Se ci fosse stato qualcuno, avrebbe potuto sentire solo un silenzio puro. Tante lampade illuminavano le cornici che erano appese ai muri e coperte da panni grigi. L’atmosfera era priva di suoni e colori caldi. Quell’aula era un regno di pace gelido, bello, eppure non piacevole.
Ad un certo punto, una domenica verso le sei, tutto cambiò. Il primo a entrare fu un padre, piuttosto giovane. Dopo di lui, correndo, apparvero due bambini piccoli. Loro parlavano a voce abbastanza alta. Questi bambini, probabilmente gemelli, in realtà non parlavano, potremmo dire che loro cantavano una canzoncina. E dopo i gemelli, un po’ zoppicando, entrò la madre.
«Dopo tutto quel casino, voglio chiederti, Alice, sei soddisfatta adesso?» domandò l’uomo alzando il sopracciglio sinistro.
«Penso che questa non sia la domanda giusta, Mattia. Sarebbe invece giusta se la ponessi io a te» disse la donna.
«Quindi, chi risponderà per primo?»
«Allora, se sei un gentiluomo, e io penso che tu lo sia davvero, risponderai tu per primo.»
«Vabbè, adesso sono stato intrappolato da una piccola furbizia» disse l’uomo fermandosi un po’, «onestamente, non so cosa dire, forse…» pronunciò fingendosi insicuro, ma in una maniera molto ovvia.
«Ma dai, Mattia, dillo finalmente!»
«Lo sai che sto scherzando, amore. Sì, sono completamente soddisfatto, forse per la prima volta nella mia vita.»
«È così difficile dirlo senza fare scherzi stupidi?»
«No, anzi, adesso è molto facile. Però non ho sentito la tua risposta.»
«Non c’è niente da rispondere, siccome tu hai già detto tutto…»
Dopo questa frase sono rimasti in silenzio per qualche minuto pensando al loro triste passato. Era bastata solo una telefonata di Mattia. Quella telefonata cancellò tutti i problemi, come se non fossero mai esistiti. Proprio cinque anni prima Mattia aveva preso coraggio e l’aveva fatta, sicché la sua depressione e l’anoressia di Alice sparirono quasi improvvisamente. Due parole sincere veramente possono cambiare la vita di ognuno, lo sapevano tutti e due.
Nel momento in cui stavano per baciarsi, si sentì un lungo e placido suono, come se qualcosa scivolasse. Davanti ai loro occhi apparve una grande foto, un ritratto. Era un volto femminile. Era difficile distinguere se la donna nella foto sorridesse o se fosse un po’ arrabbiata. Mattia rimase ipnotizzato dall’immagine. Alice sentì un nervosismo particolare, perché il pomeriggio dopo avrebbe dovuto esibire quella foto, il suo capolavoro preferito, la corona della sua carriera fotografica. In un istante sentì una paura simile a quella che aveva provato dopo l’incidente sulla montagna. Ma questa volta la nebbia non sarebbe diventata nera. Ossia, questa volta non ci sarebbe neanche stata la nebbia.
I bambini invece, da veri bambini, tenevano il panno grigio che avevano tolto dalla foto. Quindi i gemelli respingevano la nebbia gridando:
«Mamma, papà, guardate, questa è nostra zia Michela!!!»

Saša Ćetojević, Banja Luka, Bosnia-Erzegovina

lunedì 22 settembre 2014

Quinta edizione del premio letterario "un dito nell'occhio": idee sul lieto fine


Scrivi il tuo finale e vinci un corso di lingua e cultura Italiana in Italia.
Anche quest'anno il Faro darà, a due talentuosi scrittori stranieri, la possibilità di vincere un corso di lingua italiana* presso il nostro Centro di Caorle (Venezia), partecipando alla quinta edizione del premio letterario un dito nell'occhio.

Per partecipare, inviaci un piccolo testo di massimo 1500 carattericambiando il finale di un libro, un'opera teatrale, un racconto per bambini o un film famoso.

Il concorso "un dito nell'occhio" dal titolo idee su lieto fine è organizzato dal Centro di lingua e cultura Italiana IL FARO di Caorle (Venezia).

Invia il tuo finale a unditonellocchio@gmail.com, entro il 9 maggio 2015.

I requisiti per partecipare al concorso sono i seguenti:
-avere più di 18 anni
-non essere di madrelingua italiana
-non essere residente in Italia. 

I vincitori del concorso saranno annunciati il 16 maggio 2015. 
In bocca al lupo!


*Il corso di lingua offerto da IL FARO agli autori dei due racconti vincenti ha la durata di 2 settimane ed include: test d’ingresso; 20 ore di lezione settimanali; materiale didattico; certificato di frequenza; prenotazione alloggio per tutti gli studenti che ne avessero bisogno. 
Il vitto, l’alloggio ed il trasporto rimangono a carico del partecipante al corso.

Il corso potrà essere frequentato solo ed esclusivamente dal 15 giugno 2015 al 25 settembre 2015.

sabato 10 maggio 2014





I vincitori della quarta edizione del concorso UN DITO NELL'OCCHIO sono:



Ivana Novokmet, con La storia di una gondola

e

Vanessa Paschakarnis, con La raspa diamantata



Congratulazioni alle vincitrici, e grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato  con i loro bellissimi racconti



lunedì 5 maggio 2014

Vi ricordiamo che sabato 10 maggio verranno comunicati i nomi dei due vincitori



Un grazie di cuore a tutti voi scrittori per i vostri bei racconti, che hanno reso speciale anche questa edizione di "un dito nell'occhio"!

Capriccio felsineo


Si prevedeva un freddo inerte e noi due abbiamo preso il piumino con il cappuccio. Mancavano quattro giorni a Capodanno quando siamo arrivate a Bologna. Di notte ed un po' smarrite, siamo scese alla Stazione (Ferroviaria). Moltitudine di persone intorno, due viali sconfinati e lunghi con le luci di Natale che attenuavano la notte e tre piccole strade con luminosità frivola per andare piano ed indietro fino ad arrivare all'albergo, a cinque minuti dal centro. Quella sera, dopo la cena, siamo solo riuscite ad andare al letto e pronunciare due parole: "Buona notte".L'indomani mattina, abbiamo fatto un giro nel centro storico della città. Abbiamo ammirato il fascino di Nettuno e la Piazza Maggiore, con il classico albero natalizio, circondata dai suoi principale palazzi; e ci siamo incamminate fino alla torre degli Asinelli, dalla cima della quale abbiamo potuto guardare lo splendore e l'eleganza delle torre ed anche la lunghezza del portico del Santuario. Più tardi, ci siamo fatte la fotografia con la Garisenda ed il passaggio XXXI della Commedia sullo sfondo, abbiamo comprato l'opera di Dante in Via Musei ed abbiamo pranzato al Ciacco. Al tramonto, mentre il giorno eludeva la notte, noi peccavamo di gola scoprendo la cioccolata calda con panna più buona del mondo.In quella caffetteria, dopo tre giorni, il cameriere mi ha regalato il souvenir più bello d'Italia, una penna stampata con il loro nome, La Torinesa, con cui ho cominciato a scrivere parte di questo diario.
Sandra Aguiló i NomenReus (Tarragona), Spagna

I ricordi di Nonna

Mia sorella e io abbiamo chiamato il salotto di Nonna "la camera delle memorie” perché era lì che Nonna ha fatto mostra di tutti i suoi ricordi d’Italia e anche delle sue foto di famiglia. Chiunque ha mostrato interesse su un ricordo - forse il trullo di ceramica che Zio Nicolò le aveva portato da Alberobello o il sottopiatto che una cugina le aveva mandato da Ostuni, o una foto dei suoi genitori o di qualche altro parente. Si otteneva sempre una descrizione nostalgica da Nonna e, talvolta, un aneddoto su un parente o su Nonna quando era bambina. Mia sorella e io vorremmo stare ancora  al centro della stanza e ruotare molto lentamente per vedere un ricordo dopo l'altro, immaginando di tornare indietro di molti anni, o in quella terra lontana d'Italia. "Oh, c'è il fischio Nonno riportato a Boston e poi utilizzato per chiamare la mamma e zia Elena a cena quando erano piccoli." Oppure: "Io vedo la fattoria in Anzano dove Nonna è cresciuta." A volte chiedevamo se potevamo "giocare 'con alcuni dei ricordi. Giocare con loro significava dover stare molto attenti con i tesori inestimabili di Nonna. Anche se Nonna era occupato con la cottura o la pulizia, Nonna di solito diceva "Sì". Amava il nostro interesse per le cose italiane. Spesso ci ha ricordato che eravamo americane, ma anche italiane. Dovevamo prendere ogni ricordo con attenzione e ogni volta lei ci diceva. "Stai attenta. Sono preziosi per me ", diceva che era un ricordo di Zia Pina che era morta da poco. La nonna non voleva farci dimenticare la nostra prozia, che ci salutava sempre con un pizzico delicato sulla guancia e ci dava sempre qualcosa di dolce da mangiare. Zia Pina di solito ci portava i cannoli fatti in casa per i pranzi di festa. Noi li abbiamo chiamati poi i"dolci di Zia Pina". A noi piaceva molto guardare i ricordi. C'era il piccolo trullo di ceramica in armadio, un piatto di Ostuni appeso al muro e poi c'erano le vecchie foto ingiallite dei nostri parenti italiani. Nelle foto, i parenti sembravano tutti così seri, non come i parenti italiani che avevamo conosciuto a Boston, e un giorno ho scoperto perché. 
Un giorno una delle mie cugine più giovani, Francesca, ha fatto la Prima Comunione. Noi siamo andate a far visita alla Nonna e abbiamo fatto alcune foto. Nonna indossava il suo abito da casa, con un turbante in testa, che era il suo solito costume per cucinare la cena della Domenica. La madre di Francesca, Zia Sophia, ha chiesto a Nonna di sedersi su una sedia della cucina, e a Francesca di stare accanto a lei. Francesca, ovviamente nel suo abito bianco con il velo. Ma si sarebbe pensato che Nonna era una regina in un abito di seta e una mantellina di ermellino. La foto era una faccenda seria per lei, senza dubbio perché era catturare un momento da ricordare. Proprio quando Zia Sophia stava per scattare la foto, Nonna si rivolse a Francesca e disse, in inglese, "Non mostrare i denti." Questo era così diverso da quello che chiunque altro della famiglia avrebbe detto ("Cheese" in Inglese - per allargare la bocca e mostrare un sorriso a trentadue denti) che abbiamo riso tutti - tutti tranne Nonna e Francesca, che ha obbedito a Nonna. Mi sono chiesta perché per un lungo periodo di tempo, e poi un giorno, quando io e mia sorella stavano guardando la foto del matrimonio della Nonna e Nonno, mi sono resa conto che non erano sorridenti, e chiesi a mia madre, "Erano infelici di sposarsi'" Ricordo che mia madre si mise a ridere e disse:" No. "Lei ha spiegato che le espressioni facciali serie erano tipiche delle foto di quell'epoca: le persone stavano in posa per le foto a lungo perché altrimenti le foto sarebbero state sfocate. Quindi la nonna aveva fatto lo stesso con Francesca, nonostante le fotografie fossero cambiate,e rimase lì finché l'obiettivo non venne chiuso. Ora ho capito perché molti dei miei parenti sembravano così tristi in quelle vecchie foto. Per anni, dopo la Prima Comunione di Francesca, abbiamo posato per le foto con Nonna, sempre senza mostrare i denti. Nonna è morta ora, e il suo salotto esiste solo nei nostri ricordi. Lei non ha lasciato un testamento formale. Invece, ha lasciato una nota nella quale diceva che i bambini potevano prendere la chincaglieria con cui giocare, senza fare attenzione, ma godendosela. Dietro ogni fotografia lei aveva scritto il nome di un parente al quale affidare la foto. Per lei le foto erano state importanti, perché aveva potuto farci conoscere così i nostri parenti. Lei ha scritto: "Mi sono piaciute le chincaglierie, le tovagliette, le piccole statue, e tutti gli altri ricordi che i miei parenti e amici mi hanno portato dall'Italia. Ma più di questo, mi sono divertita con i miei nipoti a giocare e a raccontargli storie su ogni oggetto e su ogni persona che mi aveva portato quell'oggetto. Non avevo bisogno di foto per ricordarmi dei miei genitori e dei miei fratelli e sorelle, ma le mie foto erano molto speciali per tutta la gioia che ho ricevuto quando i miei figli e i miei nipoti mi chiedevano delle persone nelle foto. Ho potuto attraversare la mia storia dall'Italia all'America. Ho fatto tesoro dei miei ricordi e delle mie foto, ma il tesoro più grande è stata la mia famiglia ... vi prego, cari figli," scrisse, "prendetevi cura gli uni degli altri perché siete i miei tesori più preziosi."
Diana D’India East Boston, USA

I trulli

Ricordo sin da bambina che provavo grande emozione quando parenti o amici rientrando dalla vacanze portavano alla mia famiglia in dono dei souvenir da svariate località soprattutto italiane. Ricordo che questi oggetti mi aiutavano a sognare: Colosseo in miniatura, portachiavi con disegni di luoghi unici, quadretti di ogni genere e tante altre piccole cose. Ma un giorno una mia zia tornando dall'Italia meridionale mi portò in dono una piccola casetta di gesso a forma conica, di colore bianco con tetto in pietra grigia... Non avevo mai visto una abitazione con simile architettura. C'era una scritta sulla base dell'oggetto: Alberobello. Così forte fu la mia curiosità che chiesi a mia zia dove fosse questo luogo e se davvero esistessero abitazioni simili. La risposta della zia non appagò la mia curiosità, infatti lei mi disse: "Sono andata qualche giorno a Bari quando ero in vacanza in Montenegro e tra shopping e buona cucina mi sono imbattuta in un negozio di oggettistica, dove ho trovato questo strano souvenir ed alcune cartoline che ti farò vedere!". Così estrasse dalla borsa tre cartoline che raffiguravano delle viuzze strette tra queste simpatiche casette, a quel punto le chiesi: " Ma tu ci sei stata in questo posto?" . Lei rispose di no. Così delusa dal racconto della zia, quel giorno promisi a me stessa che un giorno sarei andata a visitare quel luogo strano e curioso. Dopo tanti anni, diventata adulta decisi di andare in Puglia con la mia amica Sonja portando con me quel souvenir come portafortuna. Mi ero documentata un po' sul web, ma non avevo trovato molto, a dire il vero. Con la mia amica Sonja trascorremmo prima una settimana a Budva, in Montenegro e poi prendemmo il traghetto da Bar per raggiungere Bari. Facemmo la traversata in una notte d'estate e sul ponte della nave si poteva osservare il cielo stellato e respirare la brezza marina, fu lí che si avvicinò a me un uomo italiano chiedendomi di dove fossi e dove stessi andando. Era stato in vacanza in Montenegro, ospite di amici del luogo. Ricordo come fosse un sogno che parlammo tutta la notte di tante cose diverse. Si instaurò tra noi una complicità ed un magnetismo unico, le ore notturne volarono ed all'alba si incominciarono ad intravedere i campanili delle chiese romaniche del centro storico di Bari. Subito andai a svegliare la mia amica Sonja, che era andata a dormire, per non farle perdere quello scenario incantevole. Fabio, il mio nuovo amico italiano si offrì di farci da guida. Fabio era un ricercatore dell’Università di Bari, originario della Campania, era di poche parole, ma lasciava trasparire una cultura immensa. Fu una fortuna per noi accettare il suo invito. Così sbarcammo a Bari e ci dirigemmo in Hotel dove ci sistemammo e dormimmo per alcune ore. Visitammo Bari di sera, città meravigliosa, piena di vita, le vie del centro storico gremite di gente, la cattedrale di S. Nicola di pietra bianca meravigliosa ed immensa, belle le altre chiese, il castello normanno e le mura medievali. Il giorno dopo assaggiammo le famose orecchiette, uniche! E finalmente nel primo pomeriggio partimmo alla volta di Alberobello, la capitale dei Trulli.Man mano che uscivamo in auto dalla città, il paesaggio cambiava, subito si incontravano distese di ulivi secolari intervallate da vigneti e frutteti. A pochi chilometri dalla città bianche masserie fortificate a calce bianca riflettevano il sole sui poggi di collinette. Scendendo dal versante occidentale di questi colli seguendo il sole il paesaggio cambiò ancora una volta: il colore della terra diventò rosso, ogni tenuta o distesa di campo era delimitata da secolari muretti a secco, ed all'improvviso apparvero i primi trulli, si i trulli esistevano davvero e molti di loro erano anche abitati... Eravamo arrivati nella valle d'Itria. Terra dei trulli, di buon cibo e di ospitalità. Visitammo chiesette rurali uniche, masserie immense miste a trulli, mangiammo cibo mediterraneo e bevemmo un po' di vino locale. Il tempo sembrava volare via, arrivò subito il tramonto, ed i trulli bianchi si colorarono di arancio, arancio. Fu allora che Fabio ci portò ad Alberobello a vedere una intera città formata da trulli, fu per me un’emozione unica!Addirittura la chiesa era a forma conica, non potevo crederci... quel souvenir portato per caso da mia zia, che io credevo opera della fantasia di un artigiano, mi aveva condotto in una terra magica! Il cuore mi batteva forte, avevo realizzato un sogno che avevo sin da bambina ed la realtà era più bella del sogno, in più ero lí con la mia miglior amica ed una guida speciale conosciuta per caso. Fermi da tempo su un belvedere del centro storico non potei trattenermi dall'abbracciare e baciare Sonja e Fabio. Ero felice, troppo felice. Da allora penso spesso a quei momenti... Sonja vive fuori, Fabio lo sento di rado. Ma non nascondo che vorrei tornarci in quella terra a tratti magica, a tratti selvaggia... che ti entra dentro e ti accompagna per sempre!

Tamara Ćaćić, Belgrado (Serbia)