lunedì 28 aprile 2014

Come un “ninja”

Ho un hobby un po’ imbarazzante: mi piace leggere e fare la raccolta di fumetti. Quando ho un fumetto tra le mani posso godermi sia la storia sia la grafica, le due passioni dei fumettisti. Ho notato che la maggior parte dei fumetti pubblicati negli Stati Uniti racconta le vicende di supereroi, quindi, quando una sola scelta è disponibile, si desidera qualcos'altro. Per questo motivo, ho deciso di cercare altri tipi di fumetti.
Quando sono stato a Genova l’inverno scorso ho iniziato una ricerca rigorosa di fumetti e fortunatamente non sono dovuto andare lontano perché nella stessa strada del mio albergo c’era una “fumetteria”! Che meraviglia!
A questo punto avevo già realizzato metà del mio sogno, comunque pensavo che la parte successiva sarebbe stata la più difficile: se gli appassionati italiani di fumetti sono simili a quelli americani, questo significa che anche a loro piace discutere ad alta voce di fumetti con tutti, anche con gli sconosciuti, ed in questo caso, con me!
Forse non mi fidavo della mia abilità di parlare in italiano, e dunque non mi sentivo pronto a fare una conversazione in una lingua di cui avevo solo una conoscenza limitata. Come un “ninja”, ho preso silenziosamente alcuni libri, ho pagato in contanti, e sono riuscito a fuggire senza problemi!
Per la prima volta avevo comprato qualcosa che univa i fumetti allo studio della lingua italiana. Ne ho aperto uno e sono immediatamente stato colpito da tutto quello che potevo capire! E se non avessi compreso una parola, avrei potuto controllarla sul dizionario.

Con questi fumetti, ho l’opportunità di migliorare la mia conoscenza dell’italiano nel modo che mi piace tanto!

Andrew Lockard, Maryland (USA)

Il piacere del caffè



Sono un amante del caffè. Lo bevo amaro senza zucchero e senza latte perché mi piace proprio il gusto del caffè. Quando ero in Italia, ero in paradiso! Non importava dove mi trovavo, ma del caffè buono ce n'era sempre.
Come in America, bere il caffè in Italia, è un evento sociale e uno dei miei ricordi più speciali, più importanti è quando mi svegliavo tutte le mattine perché il profumo del caffè girava per la casa arrivando fino all'ultimo piano dove dormivo. Mi alzavo e scendevo in cucina dove mi aspettavano tutti giorni una tazza di caffè e Rosanna, la signora che mi ospitava, la mia “mamma” italiana. Per i successivi venti o trenta minuti stavamo lì a bere il caffè, facevamo colazione e discutevamo dei nostri programmi del giorno o del tempo, delle mie speranze, e delle differenze tra l'America e l'Italia; lei mi dava consigli o informazioni, o stavamo a tavola in silenzio, tranquilli. Ma tutte le mattine eravamo insieme a gustare il caffè. Mi sentivo fortunato, perché la mia “mamma” era anche lei un'amante del caffè. Quando finalmente sono riuscito a comprare una moka per fare il “vero caffè italiano” ero estasiato.
È l'oggetto più importante che ho portato dall'Italia e ogni volta che la uso mi fa ricordare quelle mattine! Il suono del caffè che “passa” e il suo aroma quando lo verso nella tazzina mi rende felice!


Mario Finelli, Maryland (USA)

La torre

Era davvero uno spettacolo: i due ragazzi ammiravano il miracolo dell’edificio che sembrava sfidare le leggi della fisica. Pendeva perfettamente sbilanciata, sospesa, indifferente alla forza di gravità che costringeva i semplici umani a terra.
Gli occhi di Marco rimasero fissi sulla torre, mentre Antonio distoglieva lo sguardo per aggiustare la macchina fotografica. Scattate le foto, guardò il suo amico, che stava con la testa inclinata da un lato.
- Ci sei? - gli gridò.
Turbato, come chi si sveglia da un sogno, Marco gettò uno sguardo minaccioso. Antonio capì il vero motivo di quell’occhiata malvagia: era l’insostenibile peso della sconfitta del suo amico.
- Allora? Che ne pensi, Marco?
Marco guardò di nuovo la torre. Si stupiva dello smalto splendente del marmo che, in quel momento, sembrava brillare di una maggiore intensità. Scrutò le colonne colossali che imprigionavano i suoi occhi. Pensò a tutte le case, chiese e cattedrali che aveva visto fino ad allora, ed era sempre più convinto che non esistesse nulla di simile al mondo. Si vantava di aver visto tutti i più bei monumenti italiani, ma aveva sempre trascurato, non solo la Piazza del Duomo, ma anche questo monumento che rappresentava l’Italia: la torre di Pisa. Era proprio una vergogna, ma decise di non dare la soddisfazione della vittoria al suo amico Antonio.
- Niente! Rispose Marco.
- Niente? – replicò Antonio con un tono incredulo.
Entrambi sapevano che era una bugia.
- Niente di niente!!!! Disse Marco.
Il suo amico rivolse l’attenzione alla torre, dopodiché replicò:
- Non sono mica convinto; anzi, sono proprio sicuro di ciò che dicevo prima. Non esiste sulla terra un altro edificio che rappresenti l’Italia come questo: straordinario, storto, insolito, ricco di storia, inclinato, difettoso, ma dignitoso; insomma, degno d’ammirazione! Ma, visto che non ti interessa, non avrai bisogno della tua foto - Detto questo, apparve sul volto di Antonio un sorriso che segnalò il trionfo.

Prima che Marco potesse parlare, sentì in mano un oggetto familiare, fatto di legno: era una piccola cornice e nel mezzo c’era l’immagine della torre. 

Sankara Kasanje, Maryland (USA)

L’elefantino di ceramica


L’estate scorsa sono andata a Venezia con la mia famiglia, era la seconda volta che visitavamo Venezia. Ci piace molto questa città perché c’è una varietà di cose da fare: visitiamo i musei, guardiamo le gondole, facciamo compere, mangiamo nei ristoranti tradizionali e osserviamo le opere d’arte.
Mentre eravamo in giro per negozi, mio padre ha visto un elefantino di ceramica in una vetrina e, poiché sa che faccio raccolta di elefanti, mi ha chiesto se volevo comprarlo.
L’elefante era in ceramica bianca e nera con venature verdi e blu, la forma un po’ tonda ed aveva solo il profilo dell’elefante, con la proboscide, un occhio, e un orecchio a forma di mezzaluna. Questo elefante è stato fatto con la tecnica Raku. Raku è una tecnica giapponese che ebbe inizio nel sedicesimo secolo. L’elefante era molto delicato ed è stato l’unico souvenir che ho portato a casa. E’ molto significativo per me perché mentre lo compravo, io e la negoziante abbiamo fatto una lunga ed interessante conversazione in Italiano. Mi ha raccontato la storia delle ceramiche Raku ed il significato dei diversi colori. Il souvenir è anche speciale perché è stata la prima volta che mio padre mi ha sentita parlare in Italiano. Era orgoglioso di me!
Ora, l’elefante è sulla scrivania in camera mia e, ogni volta che lo guardo, mi ricorda il mio viaggio a Venezia!

Christina Cuatto Maryland (U.S.A.)

martedì 22 aprile 2014

La maschera di Venezia



Era già suonato il campanello che indicava la fine di un’altra giornata all'università. All’ultimo minuto il professore ci ha detto “Vi raccomando ragazzi domani portate con voi un oggetto che ha un valore sentimentale per voi.” Tutti i miei amici discutevano tra di loro l’oggetto che avrebbero portato in classe. Io non avevo bisogno di pensarci troppo a lungo. Sapevo già che cosa avrei dovuto portare in classe. Quando sono rientrata a casa sono corsa in camera mia a cercare nei cassetti. Poi l’ho trovata, la maschera di carnevale di Venezia. Sono restata lì, immobile a fissarla. Poi ho cominciato a ricordarmi di nuovo di quella vacanza meravigliosa in mezzo a Venezia e della storia dietro quel souvenir.
Io e Marco avevamo deciso di fare questa vacanza per riavvicinarci un po’. Con i miei impegni dell’università e quelli del lavoro di Marco era diventato quasi impossibile incontrarci. E quando ci incontravamo litigavamo. Avevamo bisogno di staccare la spina così abbiamo scelto di trascorrere cinque giorni a Venezia. Cinque giorni da sogno. Parlavamo proprio di tutto: della nostra famiglia, dei nostri amici, degli altri viaggi fatti all’estero. Camminavamo tra le strade di Venezia senza avere una meta. Non ci accorgevamo del tempo che passava. Era come se fossimo stati ingoiati da quelle stradine. Qualche volta ci fermavamo a farci una foto o a prendere qualcosa da mangiare. Poi riprendevamo a camminare. Mi ricordo che volevo sempre passare da Calle larga XXII Marzo per guardare le vetrine dei negozi. Chissà se una volta avrei potuto comprarmi dei vestiti in uno di quei negozi? Ogni volta Marco era come se mi leggesse i pensieri e mi diceva “Caterina svegliati dai tuoi sogni, sono soltanto vestiti come quelli che hai addosso”.
Durante il terzo giorno eravamo ripassati di fronte al negozio di abbigliamento di Versace. Come al solito mi ero fermata a guardare i capi dietro le vetrine. Quel giorno gli avevo chiesto: “Ma tu pensi che un giorno avremmo abbastanza soldi per vivere bene?” Lui mi aveva guardato con gli occhi lucidi e mi aveva detto “Ti va un gelato?”. Ero talmente contenta di quel giorno passato insieme che non mi ero accorta che non voleva rispondere a quella domanda. Mi ricordo che quando eravamo rientrati all’hotel, Marco era stanco ed è andato subito a letto. Io non potevo prendere sonno così mi sono affacciata alla finestra con le cuffie negli orecchi ad ascoltare un po’ di musica. Presto tutto sarebbe finito e saremmo ritornati alla nostra vita. Forse avremmo fatto un’altra vacanza insieme. Il problema erano sempre quei maledetti soldi. Così mi sono ricordata della domanda a cui Marco non aveva ancora risposto. So benissimo che Marco non è uno di poche parole e se non mi ha risposto è perché quella domanda lo metteva a disagio. Durante quei giorni non aveva mai parlato del nostro futuro insieme. Eppure avevamo fatto molte gite romantiche sulle gondole e abbiamo passato le sere a guardare le nostre figure nell’acqua di Venezia. Di sicuro aveva avuto più di un’occasione per dirmi che cosa provava per me. Improvvisamente ho cominciato ad avere sonno e ho deciso di andare a letto.
L’indomani mi sono svegliata sola in quel letto grande. Erano già le dieci! Perché non mi aveva svegliata? L’ho cercato nel letto e ho visto che non c’era. Forse si trovava al bagno. No, mi sbagliavo non era neanche lì. Mi sono girata di nuovo verso il letto e mi sono accorta che sul pavimento c’era un sacchetto con dentro una busta e un pacchetto. Ho deciso di aprire la busta. C’era scritto:
Cara Caterina. Se stai leggendo questa lettera è perché ti sei accorta che non ci sono. Sono un codardo. Non ho coraggio di dirti quello che provo perché quando sono di fronte a te mi blocco e non voglio vederti soffrire. Ti ho amato moltissimo e sono sicuro che provo ancora qualcosa per te. Ma come possiamo continuare a vivere in due mondi diversi? In questo momento so che sei furiosa e ferita ma credimi ho fatto delle brutte cose e tu non le meriti. Non meriti di essere con uno che non vuole aspettarti e che non ti apprezza per quello che sei. Caterina, hai bisogno di un uomo accanto al tuo fianco. Io sono ancora un ragazzo che vuole soltanto divertirsi e uscire con i suoi amici senza alcuni legami. Ti sembrerà strano ma ti ho preso un regalo. In quel pacchetto troverai una maschera come quelle che ti sono piaciute tanto quando abbiamo visitato le botteghe veneziane. Quando guarderai quella maschera voglio che ti ricordi che tu hai fatto di tutto perché la nostra relazione funzionasse. Eppure io mi sono sempre nascosto dietro una maschera per poterti piacere. Ma adesso basta. Basta per te e per me. Ti voglio bene e ti meriti di meglio. Ciao. Non dimenticherò mai questi giorni stupendi.”
Dopo aver letto tutto, mi girava la testa. Le lacrime mi scendevano sulle guance. Ho guardato quella bellissima maschera piena di colori, con le labbra perfettamente chiuse che mi trasmette una sensazione di mistero. Ho letto e riletto quelle parole diverse volte e per me non avevano senso. Perché aveva aspettato quella vacanza? Non me lo poteva dire prima? Che cosa gli ho fatto di male? Un sacco di domande inondavano la mia testa senza trovare le risposte. Poi ho cominciato a ricordarmi di quante volte mi aveva detto che non voleva uscire perché era stanco, quante volte aveva fatto tardi al lavoro e quante volte gli era suonato il cellulare e lui lo non rispondeva. Sono stata veramente stupida e cieca. Come ho fatto a non accorgermi di niente? Improvvisamente mi è ritornato in mente il testo di una canzone italiana e della voce di Alessandra Amoroso. “Che stupida che sei tu non impari mai”. Sì infatti non ho mai imparato a fare la mia strada senza essere ferita.
Mi ricordo che dopo aver pianto per due ore sono andata a farmi una doccia. Poi ho preso la mia borsa e sono uscita a fare un giro tra i canali di Venezia. Questa volta camminavo da sola e più camminavo più mi sentivo libera.  Era come se l’aria di Venezia mi stesse togliendo i pensieri e mi permettesse di sognare della nuova vita che mi aspettava una volta rientrata a casa. Stranamente mi stavo accorgendo che in fin dei conti mi mancava la vita dei single.
Oggigiorno quando guardo quella maschera mi ricordo di quella vacanza che alla fine si era rivelata la migliore della mia vita. Ero riuscita a prolungare il mio soggiorno lì per un’altra settimana. Una settimana dove ho potuto ritrovarmi e fare le cose che mi piacevano di più, senza esitazioni. Domani all’università porterò questo souvenir; il souvenir che rappresenta la fine di una relazione e l’inizio di una nuova vita.

Sharon Abdilla, Malta

Le carte da Briscola


Centoventi!” ha gridato mio padre con un bell'accento americano, battendo la mano contro quella di mio fratello. Nonostante avessi giocato a briscola tutto l’anno a Bologna con i miei coinquilini, i miei mi hanno sconfitto. Avrei dovuto vergognarmi, ma mi sono sentita invece completamente in pace con il mondo. I miei genitori e mio fratello lavorano a orari diversi ed io sono sempre all'università e quindi non ci troviamo insieme abbastanza spesso. Per questo, è stato un miracolo il giorno in cui sono riuscita a convincerli ad imparare a giocare a briscola. C’è qualcosa di magico in quel mazzo di carte plastificate, comprate in un supermercato calabrese un anno fa, che ci unisce a tavola ogni volta che sono a casa.
Avrei dovuto sapere che erano speciali quelle carte mentre ero ancora in Italia. Era lì che avevano compiuto l’impresa più difficile che esista, ovvero quella di far passare velocemente un viaggio di 14 ore in autobus. Chissà quante partite abbiamo fatto io e il mio ragazzo Giuseppe fra Reggio Calabria e Bologna?
Tuttavia, la cosa più bella di quelle carte è che hanno il potere di unire la gente attraverso un oceano. Mi viene in mente una volta in cui io e mio padre abbiamo giocato a briscola su Skype con Giuseppe. Per una bellissima mezz'ora, il confine fra l’America e l’Italia era confuso. La distanza non esisteva. Non riuscivo a smettere di sorridere. Tutte e quaranta quelle carte- sì, anche i lisci- sono e saranno sempre cariche di significato per me.

Cindy Columbus, Bryn Mawr, Stati Uniti

venerdì 4 aprile 2014

La storia di una gondola



Sono sullo scaffale, immobile, quasi invisibile.
Accanto a me ci sono vari libri,vasi e figurine,che proprio come me raccolgono la polvere,stanno in silenzio.Sì,non parliamo,tante cose le teniamo per noi stessi e molte di più abbiamo da dire. Forse,per voi,siamo solamente un pezzo da decorazione che si adatta ad un enorme mosaico,ma noi siamo più di tutto questo,ci dovete solamente osservare con attenzione ed ascoltarci con pazienza.
Ho trascorso tanto tempo lungo la sinuosa superficie dell’acqua di Venezia,dai giorni oscuri quando regnava la peste,fino ad oggi,quando si può incontrare la gente da tutte le parti del mondo,oggi quando la città ispira con la sua eternità e l’indescrivibile fascino.
Da sempre la gente si fidava di me e mi sceglieva con l’intenzione che gli mostrassi Venezia dall'angolo più bello.Passando attraverso il centro della città assorbivano tutto il lusso dei palazzi nobili.Potevano godersi anche la bellezza della Chiesa di Santa Maria della Salute,la quale con la sua bianchezza ha dovuto gettare nell'oblio il dolore e la sofferenza,e tutti i ricordi sulla peste,sulla morte nera.
Una innumerabilità di volte sono passata sotto il Ponte dei Sospiri,dove c’era la prigione dalla quale è riuscito a fuggire solamente il più famoso amante del mondo-Casanova.Ma quante coppie passavano sotto ogni ponte,baciandosi nella speranza di restare innamorati per sempre,proprio come la leggenda narra.
Generalmente siamo di color nero,e spensierate navighiamo portando un grande numero di visitatori,amanti del passato e dell’arte,sognatori,vagabondi...I suoni della città, i quali sono passi dei curiosi visitatori e la musica dei vivaci cantanti,sono indescrivibili,irreali,e si mescolano con gli odori della città e trascinano tutto via,nell'infinità,nel mondo dell'amore e dell’immaginazione.
E anche quando ero legata e galleggiavo,ho visto e sentito tutto quello che si nascondeva da me,che era lontano dall'acqua e che si svolgeva sul suolo.La gente,volendo conoscere lo spirito della città,si immergeva nel labirinto composto da strette,simili stradine in cerca delle silenziose,medioevali piazze.Durante queste passeggiate,poteva succedere che in qualche deserta strada sentissero,dalle mura di sasso,uno smorzato sussurrio,oppure delle quiete grida che si perdono nella lontananza portate via dal vento.Quelle erano le voci delle anime intrappolate,delle anime di quelli che hanno vissuto nei giorni peggiori,di quelli che hanno subito la brutalità e l’ingiustizia che la vita può portare,di quelli che se ne stavano in silenzio e adesso,proprio come me vogliono parlare e si vogliono liberare da tutte le pene,da tutto quello che era brutto,da tutto quello che hanno visto,ma non volevano ricordarsene,da tutto quello che hanno vissuto.
Le passeggiate lungo le vie della città conducevano la gente dai ponti,attraverso i condotti,fino alle piccole piazze con degli strani pozzi e altissimi monumenti.Conducevano fino alle viste che lasciano senza fiato,fino alle regioni con delle serie di case eleganti decorate con le finestre di stile veneziano,oppure alle regioni delle case al di sopra “le strade acquose”,fino alle viste che si vedono solo una volta,si interpretano in un modo speciale,e restano incise nella memoria per sempre.
Ho assistito a tanti Carnevali.Quello è un periodo dell’anno quando le persone si nascondono sotto le maschere,si dimenticano della realtà,e per un istante saltano fuori dalla stessa,hanno l’opportunità di essere quello che sono,essere allegri e di vivere la vita come mai prima.In quel tempo,nell'aria si distendono l’allegria,la gioia,l’amore,l’amicizia che si presentano attraverso la danza e la musica.I vestiti meravigliosi e pomposi si mescolano nella folla e lasciano l’impressione di un sogno,una favola,una storia inventata...un’immaginazione.Ma poi,le maschere si tolgono,i volti si svelano,tutto è come prima...La gente si prepara per partire,mette da parte i vestiti variopinti e si siede sul treno,del quale l’ultima fermata è la realtà.
Il mondo che vedo...Non lo osservo solo con i miei occhi e non lo conosco solamente dalla mia esperienza,guardo anche con occhi altrui,vivo le storie dei causali passanti,e di quelli che trasporto,condivido i sentimenti con tutto quello che mi circonda ma non ha influenza su di me,ho vissuto per me stessa,ma anche attraverso gli altri.I minuti,i giorni,gli anni e i secoli si sostituivano e passavano al volo.Gli eventi si susseguivano e si annodavano,e i cambiamenti erano frequenti.La mia storia non sono solamente i monumenti medioevali,le strade strette,e le piazze di sasso,la mia storia sono anche le persone,il loro carattere,i dilemmi della vita,i dubbi...La mia storia è molto di più delle mura antiche.
C’era sempre la felicità,non è possibile reggere in questo mondo crudele senza di lei,ma da sempre era limitata in un modo,e non ugualmente distribuita a tutti.L’amore era,in ogni epoca,quello che ci circondava,ci univa e che ricordava gli umani che sono capaci di amare,di sentire.La sincerità e l’amicizia erano,come adesso,rare,ma solide e sicure.Ecco,la felicità,l’amore,l’amicizia e la sincerità...e la sofferenza,il dolore,la tristezza,l’ingiustizia?
Solo quanti affamati ed infelici bambini c’erano,quante persone tristi,delle quali,le lacrime scivolavano all'ingiù dai visi esausti,e poi cadevano dalle labbra screpolate sul mio suolo di legno,e nessuno lo ha notato,nessuno si è mai girato.Quelle lacrime erano piene di dolore,gridavano e desideravano avidamente quel poco di felicità che molti avevano,ma tenevano per sé.A loro anche la più piccola parte della serenità e dell’attenzione che tanti avevano,poteva ridargli quello che la vita ha brutalmente preso.
Ed eccomi,sullo scaffale,immobile,quasi invisibile.Accanto a me ci sono vari libri,vasi e simpatiche figurine,che proprio come me,raccolgono la polvere,stanno in silenzio...Sì,stiamo in silenzio!E vedete quante cose io tengo in me,quante cose ho visto,sentito...Per voi,siamo solamente un pezzo da decorazione che si adatta ad un enorme mosaico,ma io so che siamo più di tutto questo,noi siamo una ricca tesoreria della storia mondiale,ci dovete solamente osservare con attenzione ed ascoltarci con pazienza.Ma no...tutti ci prendono e ci mettono su una pianura di legno.

Ma io griderò,lascerò la mia voce,perché voglio che tutti quelli che mi toccano,oppure mi sfiorano con uno sguardo,sappiano che ho viaggiato lungo Venezia.Voglio che sappiano che la superficie dell’acqua ha un potere per trascinare tutti in un misterioso,indescrivibile passato che così forte attira la gente da tutto il mondo,e che loro sono quelli che con me,possono visitare la città fermata nel tempo.

Ivana Novokmet,Valjevo,Serbia