martedì 22 aprile 2014

La maschera di Venezia



Era già suonato il campanello che indicava la fine di un’altra giornata all'università. All’ultimo minuto il professore ci ha detto “Vi raccomando ragazzi domani portate con voi un oggetto che ha un valore sentimentale per voi.” Tutti i miei amici discutevano tra di loro l’oggetto che avrebbero portato in classe. Io non avevo bisogno di pensarci troppo a lungo. Sapevo già che cosa avrei dovuto portare in classe. Quando sono rientrata a casa sono corsa in camera mia a cercare nei cassetti. Poi l’ho trovata, la maschera di carnevale di Venezia. Sono restata lì, immobile a fissarla. Poi ho cominciato a ricordarmi di nuovo di quella vacanza meravigliosa in mezzo a Venezia e della storia dietro quel souvenir.
Io e Marco avevamo deciso di fare questa vacanza per riavvicinarci un po’. Con i miei impegni dell’università e quelli del lavoro di Marco era diventato quasi impossibile incontrarci. E quando ci incontravamo litigavamo. Avevamo bisogno di staccare la spina così abbiamo scelto di trascorrere cinque giorni a Venezia. Cinque giorni da sogno. Parlavamo proprio di tutto: della nostra famiglia, dei nostri amici, degli altri viaggi fatti all’estero. Camminavamo tra le strade di Venezia senza avere una meta. Non ci accorgevamo del tempo che passava. Era come se fossimo stati ingoiati da quelle stradine. Qualche volta ci fermavamo a farci una foto o a prendere qualcosa da mangiare. Poi riprendevamo a camminare. Mi ricordo che volevo sempre passare da Calle larga XXII Marzo per guardare le vetrine dei negozi. Chissà se una volta avrei potuto comprarmi dei vestiti in uno di quei negozi? Ogni volta Marco era come se mi leggesse i pensieri e mi diceva “Caterina svegliati dai tuoi sogni, sono soltanto vestiti come quelli che hai addosso”.
Durante il terzo giorno eravamo ripassati di fronte al negozio di abbigliamento di Versace. Come al solito mi ero fermata a guardare i capi dietro le vetrine. Quel giorno gli avevo chiesto: “Ma tu pensi che un giorno avremmo abbastanza soldi per vivere bene?” Lui mi aveva guardato con gli occhi lucidi e mi aveva detto “Ti va un gelato?”. Ero talmente contenta di quel giorno passato insieme che non mi ero accorta che non voleva rispondere a quella domanda. Mi ricordo che quando eravamo rientrati all’hotel, Marco era stanco ed è andato subito a letto. Io non potevo prendere sonno così mi sono affacciata alla finestra con le cuffie negli orecchi ad ascoltare un po’ di musica. Presto tutto sarebbe finito e saremmo ritornati alla nostra vita. Forse avremmo fatto un’altra vacanza insieme. Il problema erano sempre quei maledetti soldi. Così mi sono ricordata della domanda a cui Marco non aveva ancora risposto. So benissimo che Marco non è uno di poche parole e se non mi ha risposto è perché quella domanda lo metteva a disagio. Durante quei giorni non aveva mai parlato del nostro futuro insieme. Eppure avevamo fatto molte gite romantiche sulle gondole e abbiamo passato le sere a guardare le nostre figure nell’acqua di Venezia. Di sicuro aveva avuto più di un’occasione per dirmi che cosa provava per me. Improvvisamente ho cominciato ad avere sonno e ho deciso di andare a letto.
L’indomani mi sono svegliata sola in quel letto grande. Erano già le dieci! Perché non mi aveva svegliata? L’ho cercato nel letto e ho visto che non c’era. Forse si trovava al bagno. No, mi sbagliavo non era neanche lì. Mi sono girata di nuovo verso il letto e mi sono accorta che sul pavimento c’era un sacchetto con dentro una busta e un pacchetto. Ho deciso di aprire la busta. C’era scritto:
Cara Caterina. Se stai leggendo questa lettera è perché ti sei accorta che non ci sono. Sono un codardo. Non ho coraggio di dirti quello che provo perché quando sono di fronte a te mi blocco e non voglio vederti soffrire. Ti ho amato moltissimo e sono sicuro che provo ancora qualcosa per te. Ma come possiamo continuare a vivere in due mondi diversi? In questo momento so che sei furiosa e ferita ma credimi ho fatto delle brutte cose e tu non le meriti. Non meriti di essere con uno che non vuole aspettarti e che non ti apprezza per quello che sei. Caterina, hai bisogno di un uomo accanto al tuo fianco. Io sono ancora un ragazzo che vuole soltanto divertirsi e uscire con i suoi amici senza alcuni legami. Ti sembrerà strano ma ti ho preso un regalo. In quel pacchetto troverai una maschera come quelle che ti sono piaciute tanto quando abbiamo visitato le botteghe veneziane. Quando guarderai quella maschera voglio che ti ricordi che tu hai fatto di tutto perché la nostra relazione funzionasse. Eppure io mi sono sempre nascosto dietro una maschera per poterti piacere. Ma adesso basta. Basta per te e per me. Ti voglio bene e ti meriti di meglio. Ciao. Non dimenticherò mai questi giorni stupendi.”
Dopo aver letto tutto, mi girava la testa. Le lacrime mi scendevano sulle guance. Ho guardato quella bellissima maschera piena di colori, con le labbra perfettamente chiuse che mi trasmette una sensazione di mistero. Ho letto e riletto quelle parole diverse volte e per me non avevano senso. Perché aveva aspettato quella vacanza? Non me lo poteva dire prima? Che cosa gli ho fatto di male? Un sacco di domande inondavano la mia testa senza trovare le risposte. Poi ho cominciato a ricordarmi di quante volte mi aveva detto che non voleva uscire perché era stanco, quante volte aveva fatto tardi al lavoro e quante volte gli era suonato il cellulare e lui lo non rispondeva. Sono stata veramente stupida e cieca. Come ho fatto a non accorgermi di niente? Improvvisamente mi è ritornato in mente il testo di una canzone italiana e della voce di Alessandra Amoroso. “Che stupida che sei tu non impari mai”. Sì infatti non ho mai imparato a fare la mia strada senza essere ferita.
Mi ricordo che dopo aver pianto per due ore sono andata a farmi una doccia. Poi ho preso la mia borsa e sono uscita a fare un giro tra i canali di Venezia. Questa volta camminavo da sola e più camminavo più mi sentivo libera.  Era come se l’aria di Venezia mi stesse togliendo i pensieri e mi permettesse di sognare della nuova vita che mi aspettava una volta rientrata a casa. Stranamente mi stavo accorgendo che in fin dei conti mi mancava la vita dei single.
Oggigiorno quando guardo quella maschera mi ricordo di quella vacanza che alla fine si era rivelata la migliore della mia vita. Ero riuscita a prolungare il mio soggiorno lì per un’altra settimana. Una settimana dove ho potuto ritrovarmi e fare le cose che mi piacevano di più, senza esitazioni. Domani all’università porterò questo souvenir; il souvenir che rappresenta la fine di una relazione e l’inizio di una nuova vita.

Sharon Abdilla, Malta

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