Si
chiamava Achille, la cosa stupiva perché era un diciottenne
argentino del duemila.
Quando
ho saputo che aveva una sorella che si chiamava Yocasta, ho capito
tante cose.
Come
potete immaginare, veniva da una famiglia più colta che benestante,
ed in piena crisi economica, aveva deciso di studiare fisica,
credo.
Ci
siamo trovati nel contesto di una borsa di studio, di quelle rare che
i governi interessati alla diffusione alla cultura italiana
offrono ancora.
Siccome
tanto lui quanto io eravamo assolutamente indifferenti alla follia
delle compagne, che volevano ad ogni costo andare a comprare la
borsetta Louis Vuitton falsa dal senegalese di fianco, abbiamo
subito fatto amicizia.
Abbiamo
convissuto a Genova per un paio di settimane intensissime, dove si
mangiava molto, si dormiva poco e si imparava tanto.
Si
avvicinava la fine del soggiorno in Italia. Le chiacchierate si
prolungavano fino a notte fonda e gli abbracci si facevano più
stretti.
I
primi voli partivano verso i nostri paesi di origine.
All'epoca,
i biglietti erano ancora di cartoncino.
Nella
coda, che alla fine si divideva tra quelli che facevamo lo scalo a
Rio e coloro che andavano direttamente ad Ezeiza, un silenzio
scomodo si impadroniva delle nostre anime.
Ad
un certo punto, Achille si è girato verso di me e con tutta
solennità mi ha detto :“ Tieniti questo, non dimenticherai
mai questo momento”.
Non
era altro che il pezzetto di carta in bianco, che avanzava dalla
stampata dei biglietti.
Qualche
giorno fa, nel cassetto delle mie cose più care (foto d’infanzia,
lettere di fidanzati, souvenir vari), l’ho trovato: 4x1 di carta bianca.
Achille
ha avuto ragione.
ADRIANA
LA BUONORA, Montevideo, Uruguay
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