sabato 10 maggio 2014





I vincitori della quarta edizione del concorso UN DITO NELL'OCCHIO sono:



Ivana Novokmet, con La storia di una gondola

e

Vanessa Paschakarnis, con La raspa diamantata



Congratulazioni alle vincitrici, e grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato  con i loro bellissimi racconti



lunedì 5 maggio 2014

Vi ricordiamo che sabato 10 maggio verranno comunicati i nomi dei due vincitori



Un grazie di cuore a tutti voi scrittori per i vostri bei racconti, che hanno reso speciale anche questa edizione di "un dito nell'occhio"!

Capriccio felsineo


Si prevedeva un freddo inerte e noi due abbiamo preso il piumino con il cappuccio. Mancavano quattro giorni a Capodanno quando siamo arrivate a Bologna. Di notte ed un po' smarrite, siamo scese alla Stazione (Ferroviaria). Moltitudine di persone intorno, due viali sconfinati e lunghi con le luci di Natale che attenuavano la notte e tre piccole strade con luminosità frivola per andare piano ed indietro fino ad arrivare all'albergo, a cinque minuti dal centro. Quella sera, dopo la cena, siamo solo riuscite ad andare al letto e pronunciare due parole: "Buona notte".L'indomani mattina, abbiamo fatto un giro nel centro storico della città. Abbiamo ammirato il fascino di Nettuno e la Piazza Maggiore, con il classico albero natalizio, circondata dai suoi principale palazzi; e ci siamo incamminate fino alla torre degli Asinelli, dalla cima della quale abbiamo potuto guardare lo splendore e l'eleganza delle torre ed anche la lunghezza del portico del Santuario. Più tardi, ci siamo fatte la fotografia con la Garisenda ed il passaggio XXXI della Commedia sullo sfondo, abbiamo comprato l'opera di Dante in Via Musei ed abbiamo pranzato al Ciacco. Al tramonto, mentre il giorno eludeva la notte, noi peccavamo di gola scoprendo la cioccolata calda con panna più buona del mondo.In quella caffetteria, dopo tre giorni, il cameriere mi ha regalato il souvenir più bello d'Italia, una penna stampata con il loro nome, La Torinesa, con cui ho cominciato a scrivere parte di questo diario.
Sandra Aguiló i NomenReus (Tarragona), Spagna

I ricordi di Nonna

Mia sorella e io abbiamo chiamato il salotto di Nonna "la camera delle memorie” perché era lì che Nonna ha fatto mostra di tutti i suoi ricordi d’Italia e anche delle sue foto di famiglia. Chiunque ha mostrato interesse su un ricordo - forse il trullo di ceramica che Zio Nicolò le aveva portato da Alberobello o il sottopiatto che una cugina le aveva mandato da Ostuni, o una foto dei suoi genitori o di qualche altro parente. Si otteneva sempre una descrizione nostalgica da Nonna e, talvolta, un aneddoto su un parente o su Nonna quando era bambina. Mia sorella e io vorremmo stare ancora  al centro della stanza e ruotare molto lentamente per vedere un ricordo dopo l'altro, immaginando di tornare indietro di molti anni, o in quella terra lontana d'Italia. "Oh, c'è il fischio Nonno riportato a Boston e poi utilizzato per chiamare la mamma e zia Elena a cena quando erano piccoli." Oppure: "Io vedo la fattoria in Anzano dove Nonna è cresciuta." A volte chiedevamo se potevamo "giocare 'con alcuni dei ricordi. Giocare con loro significava dover stare molto attenti con i tesori inestimabili di Nonna. Anche se Nonna era occupato con la cottura o la pulizia, Nonna di solito diceva "Sì". Amava il nostro interesse per le cose italiane. Spesso ci ha ricordato che eravamo americane, ma anche italiane. Dovevamo prendere ogni ricordo con attenzione e ogni volta lei ci diceva. "Stai attenta. Sono preziosi per me ", diceva che era un ricordo di Zia Pina che era morta da poco. La nonna non voleva farci dimenticare la nostra prozia, che ci salutava sempre con un pizzico delicato sulla guancia e ci dava sempre qualcosa di dolce da mangiare. Zia Pina di solito ci portava i cannoli fatti in casa per i pranzi di festa. Noi li abbiamo chiamati poi i"dolci di Zia Pina". A noi piaceva molto guardare i ricordi. C'era il piccolo trullo di ceramica in armadio, un piatto di Ostuni appeso al muro e poi c'erano le vecchie foto ingiallite dei nostri parenti italiani. Nelle foto, i parenti sembravano tutti così seri, non come i parenti italiani che avevamo conosciuto a Boston, e un giorno ho scoperto perché. 
Un giorno una delle mie cugine più giovani, Francesca, ha fatto la Prima Comunione. Noi siamo andate a far visita alla Nonna e abbiamo fatto alcune foto. Nonna indossava il suo abito da casa, con un turbante in testa, che era il suo solito costume per cucinare la cena della Domenica. La madre di Francesca, Zia Sophia, ha chiesto a Nonna di sedersi su una sedia della cucina, e a Francesca di stare accanto a lei. Francesca, ovviamente nel suo abito bianco con il velo. Ma si sarebbe pensato che Nonna era una regina in un abito di seta e una mantellina di ermellino. La foto era una faccenda seria per lei, senza dubbio perché era catturare un momento da ricordare. Proprio quando Zia Sophia stava per scattare la foto, Nonna si rivolse a Francesca e disse, in inglese, "Non mostrare i denti." Questo era così diverso da quello che chiunque altro della famiglia avrebbe detto ("Cheese" in Inglese - per allargare la bocca e mostrare un sorriso a trentadue denti) che abbiamo riso tutti - tutti tranne Nonna e Francesca, che ha obbedito a Nonna. Mi sono chiesta perché per un lungo periodo di tempo, e poi un giorno, quando io e mia sorella stavano guardando la foto del matrimonio della Nonna e Nonno, mi sono resa conto che non erano sorridenti, e chiesi a mia madre, "Erano infelici di sposarsi'" Ricordo che mia madre si mise a ridere e disse:" No. "Lei ha spiegato che le espressioni facciali serie erano tipiche delle foto di quell'epoca: le persone stavano in posa per le foto a lungo perché altrimenti le foto sarebbero state sfocate. Quindi la nonna aveva fatto lo stesso con Francesca, nonostante le fotografie fossero cambiate,e rimase lì finché l'obiettivo non venne chiuso. Ora ho capito perché molti dei miei parenti sembravano così tristi in quelle vecchie foto. Per anni, dopo la Prima Comunione di Francesca, abbiamo posato per le foto con Nonna, sempre senza mostrare i denti. Nonna è morta ora, e il suo salotto esiste solo nei nostri ricordi. Lei non ha lasciato un testamento formale. Invece, ha lasciato una nota nella quale diceva che i bambini potevano prendere la chincaglieria con cui giocare, senza fare attenzione, ma godendosela. Dietro ogni fotografia lei aveva scritto il nome di un parente al quale affidare la foto. Per lei le foto erano state importanti, perché aveva potuto farci conoscere così i nostri parenti. Lei ha scritto: "Mi sono piaciute le chincaglierie, le tovagliette, le piccole statue, e tutti gli altri ricordi che i miei parenti e amici mi hanno portato dall'Italia. Ma più di questo, mi sono divertita con i miei nipoti a giocare e a raccontargli storie su ogni oggetto e su ogni persona che mi aveva portato quell'oggetto. Non avevo bisogno di foto per ricordarmi dei miei genitori e dei miei fratelli e sorelle, ma le mie foto erano molto speciali per tutta la gioia che ho ricevuto quando i miei figli e i miei nipoti mi chiedevano delle persone nelle foto. Ho potuto attraversare la mia storia dall'Italia all'America. Ho fatto tesoro dei miei ricordi e delle mie foto, ma il tesoro più grande è stata la mia famiglia ... vi prego, cari figli," scrisse, "prendetevi cura gli uni degli altri perché siete i miei tesori più preziosi."
Diana D’India East Boston, USA

I trulli

Ricordo sin da bambina che provavo grande emozione quando parenti o amici rientrando dalla vacanze portavano alla mia famiglia in dono dei souvenir da svariate località soprattutto italiane. Ricordo che questi oggetti mi aiutavano a sognare: Colosseo in miniatura, portachiavi con disegni di luoghi unici, quadretti di ogni genere e tante altre piccole cose. Ma un giorno una mia zia tornando dall'Italia meridionale mi portò in dono una piccola casetta di gesso a forma conica, di colore bianco con tetto in pietra grigia... Non avevo mai visto una abitazione con simile architettura. C'era una scritta sulla base dell'oggetto: Alberobello. Così forte fu la mia curiosità che chiesi a mia zia dove fosse questo luogo e se davvero esistessero abitazioni simili. La risposta della zia non appagò la mia curiosità, infatti lei mi disse: "Sono andata qualche giorno a Bari quando ero in vacanza in Montenegro e tra shopping e buona cucina mi sono imbattuta in un negozio di oggettistica, dove ho trovato questo strano souvenir ed alcune cartoline che ti farò vedere!". Così estrasse dalla borsa tre cartoline che raffiguravano delle viuzze strette tra queste simpatiche casette, a quel punto le chiesi: " Ma tu ci sei stata in questo posto?" . Lei rispose di no. Così delusa dal racconto della zia, quel giorno promisi a me stessa che un giorno sarei andata a visitare quel luogo strano e curioso. Dopo tanti anni, diventata adulta decisi di andare in Puglia con la mia amica Sonja portando con me quel souvenir come portafortuna. Mi ero documentata un po' sul web, ma non avevo trovato molto, a dire il vero. Con la mia amica Sonja trascorremmo prima una settimana a Budva, in Montenegro e poi prendemmo il traghetto da Bar per raggiungere Bari. Facemmo la traversata in una notte d'estate e sul ponte della nave si poteva osservare il cielo stellato e respirare la brezza marina, fu lí che si avvicinò a me un uomo italiano chiedendomi di dove fossi e dove stessi andando. Era stato in vacanza in Montenegro, ospite di amici del luogo. Ricordo come fosse un sogno che parlammo tutta la notte di tante cose diverse. Si instaurò tra noi una complicità ed un magnetismo unico, le ore notturne volarono ed all'alba si incominciarono ad intravedere i campanili delle chiese romaniche del centro storico di Bari. Subito andai a svegliare la mia amica Sonja, che era andata a dormire, per non farle perdere quello scenario incantevole. Fabio, il mio nuovo amico italiano si offrì di farci da guida. Fabio era un ricercatore dell’Università di Bari, originario della Campania, era di poche parole, ma lasciava trasparire una cultura immensa. Fu una fortuna per noi accettare il suo invito. Così sbarcammo a Bari e ci dirigemmo in Hotel dove ci sistemammo e dormimmo per alcune ore. Visitammo Bari di sera, città meravigliosa, piena di vita, le vie del centro storico gremite di gente, la cattedrale di S. Nicola di pietra bianca meravigliosa ed immensa, belle le altre chiese, il castello normanno e le mura medievali. Il giorno dopo assaggiammo le famose orecchiette, uniche! E finalmente nel primo pomeriggio partimmo alla volta di Alberobello, la capitale dei Trulli.Man mano che uscivamo in auto dalla città, il paesaggio cambiava, subito si incontravano distese di ulivi secolari intervallate da vigneti e frutteti. A pochi chilometri dalla città bianche masserie fortificate a calce bianca riflettevano il sole sui poggi di collinette. Scendendo dal versante occidentale di questi colli seguendo il sole il paesaggio cambiò ancora una volta: il colore della terra diventò rosso, ogni tenuta o distesa di campo era delimitata da secolari muretti a secco, ed all'improvviso apparvero i primi trulli, si i trulli esistevano davvero e molti di loro erano anche abitati... Eravamo arrivati nella valle d'Itria. Terra dei trulli, di buon cibo e di ospitalità. Visitammo chiesette rurali uniche, masserie immense miste a trulli, mangiammo cibo mediterraneo e bevemmo un po' di vino locale. Il tempo sembrava volare via, arrivò subito il tramonto, ed i trulli bianchi si colorarono di arancio, arancio. Fu allora che Fabio ci portò ad Alberobello a vedere una intera città formata da trulli, fu per me un’emozione unica!Addirittura la chiesa era a forma conica, non potevo crederci... quel souvenir portato per caso da mia zia, che io credevo opera della fantasia di un artigiano, mi aveva condotto in una terra magica! Il cuore mi batteva forte, avevo realizzato un sogno che avevo sin da bambina ed la realtà era più bella del sogno, in più ero lí con la mia miglior amica ed una guida speciale conosciuta per caso. Fermi da tempo su un belvedere del centro storico non potei trattenermi dall'abbracciare e baciare Sonja e Fabio. Ero felice, troppo felice. Da allora penso spesso a quei momenti... Sonja vive fuori, Fabio lo sento di rado. Ma non nascondo che vorrei tornarci in quella terra a tratti magica, a tratti selvaggia... che ti entra dentro e ti accompagna per sempre!

Tamara Ćaćić, Belgrado (Serbia)

Un viaggio sentimentale


Il mio viaggio per l’Italia è cominciato molti anni fa e continua nel tempo. 
Il fascino che ho subito dovrebbe, come ogni incanto, indebolirsi nel corso del tempo. 
Eppure, osservando questo paese magico ancora più attentamente, mi perdo in questa 
miscela irreperibile di lusso e di bellezza, di gioia e di sensibilità, di pace e di follia. Lo ammiro e, a volte, non lo posso raggiungere, però rimango sempre con la sensazione di desiderarlo sempre di più.
I
Prima erano gli odori e i sapori che arrivavano dalla cucina. Gnocchi al gorgonzola, pizza alle zucchine, bruschetta, risotto con i porcini, caprese... Mio padre, un 
pazzo appassionato dell’arte di cucinare, ha trasformato la nostra casa in una piccola 
trattoria accogliente, e coglieva ogni occasione per farmi imparare i suoi segreti. Non mi ritenevo mai una persona dotata di talento nella preparazione di piatti squisiti, ma, a poco a poco, mi sono addentrata in questo mondo gustoso. Non vedevo l’ora di esplorare ricette diverse, di andare al mercato e mettermi alla ricerca del pane più croccante, della frutta più matura e succosa, dei formaggi freschi e dei salumi profumati. Ogni venerdì riguardavo il programma televisivo condotto da due italiani, in cui il mondo girava attorno al cibo. Mentre tagliavano, raccontavano la storia d’Italia e scoprivano di nuovo il paesaggio che li circondava. Non mi limitavo solo a ricostruire le loro idee, facevo degli esperimenti e sviluppavo la mia passione per la cucina. Essendo golosa e volendo addolcire la vita della gente intorno a me, ho iniziato a dedicarmi anche ai dolci. Ecco, così è apparsa la mia idea di gelato al limone, torrone, cantucci, torta di noci e tiramisù...
II
Ho conosciuto Bertolucci qualche anno fa. Avevo una serata libera e niente da fare. Nonostante fossero appena le diciannove, faceva già buio. La città affogava nella pioggia, tutti i passanti erano spariti, le strade erano già vuote. All'improvviso mi è saltato il grillo di andare al cinema e di scegliere uno spettacolo casuale. Ce n’era 
solo uno, Ultimo tango a Parigi. Senza riflettere ho comprato un biglietto. Dopo averlo guardato, mi sono venute in mente tre parole: rivoluzione, scandalo e, soprattutto, capolavoro. Quel momento ha dato inizio alla mia avventura esaltata con il cinema italiano. Poi, Io ballo da sola, che mi ha sedotto ancora di più. Il panorama della Toscana con i suoi campi d’oro, le vigne e gli ulivi, i dialoghi oziosi che rispecchiavano il dolce far niente realmente esistente e soprattutto la protagonista, sensuale e nello stesso tempo fragile, a corto di esperienze sconosciute. Mi immedesimavo molto in lei, sprofondando, come Lucy, continuamente nei miei pensieri ed avendo tanto da esprimere. Quest’opera ha marcato un nuovo capitolo della mia esistenza. 
Allora non lo sapevo, ma mi aspettavo ancora un incontro. Un incontro che mi ha messo in ginocchio. Un incontro con delle donne anonime, con degli uomini casuali 
e delle storie molto universali, che si potevano svolgere dovunque. Le storie che tutti 
conosciamo, che ci diventano immediatamente vicine. Le storie ricche nelle scene 
commoventi, gli alti e bassi dei protagonisti, i loro dubbi, le scelte, le sofferenze e le 
passioni. Un incontro con Roma, Milano, Venezia, Torino, e Verona in bianco e nero. Le città che riflettevano l’immagine dell’ Italia che si stava sviluppando e che giocavano un ruolo di secondo piano, ma della stessa forza di quello principale. Un incontro con Antonioni e il cinema degli anni cinquanta e sessanta.
Recentemente ho fatto un’altra scoperta. La Grande Bellezza, tre parole che senza ombra di dubbio possono definire l’Italia. Tre parole che bastano per ricevere il premio Oscar e la considerazione di tutto il mondo. Il ritratto della città eterna, non abbellita come le cartoline vendute davanti dal Colosseo, dipinto dalla credibilità indiscussa. Gli spettatori entrano nell'universo dei monumenti e della chirurgia plastica, del rumore insopportabile delle feste infinite e del silenzio delle mattine, quando tutti i turisti non si sono ancora svegliati. Della mondanità e della spiritualità. Finalmente della ricerca di bellezza, dei piccoli momenti che ignoriamo, che ci scappano e che si possono venire ritrovati ovunque. Soltanto un italiano avrebbe potuto scrivere e realizzare un così splendido inno alla vita.
III
Il senso che trovo più sviluppato e che mi dà più impressioni è la vista. Mentre percepisco la realtà, cerco soprattutto l’aspetto estetico, mai quello pratico. Innamorarmi dell’arte era diventato soltanto una questione di tempo. La prima volta che ne me sono resa conto è stato quattro anni fa, durante l’estate. Avevamo guidato per molte ore, tutti eravamo esausti del caldo e del viaggio. Improvvisamente, la macchina si è fermata e prima di fare un sacco di domande ai miei genitori, ho notato che eravamo saliti su un piccolo trenino che ci ha portato sulla collina. Era una notte calda e silenziosa, ci perdevamo in stradine incantevoli e ci immergevamo nel clima mite dell’Umbria. Ho alzato la testa e bruscamente ho osservato che ci trovavamo davanti al duomo di Orvieto. Era perfetto. Così potente che non si poteva quasi vedere la cima, così pieno di colore, d’oro e di celeste, che non si voleva guardare altrove. L’ho guardato fisso, affascinata, e ho provato piacere per ogni dettaglio.
La nascita di Venere di Botticelli, L’ingresso al Canal Grande di Canaletto e Zingara con bambino di Modigliani. Il quadro di Botticelli si distingue per l’armonia caratteristica del Quattrocento. Venere rappresenta il mio ideale di donna ed è esattamente come la immaginavo leggendo la mitologia. La città nel paesaggio veneto di Canaletto è magnifica, assolata e vivacissima, con la cupola azzurra di Santa Maria della Salute che si solleva sulla scena, con i palazzi pittoreschi che appaiono a destra del quadro e con le gondole in basso che attraversano il canale. La Zingara di Modigliani è la mia preferita, enigmatica come tutti i personaggi nei suoi ritratti, un po’ assente, un po’ infelice. 
Eccezionale nella sua lieve deformazione, con il collo allungato in modo innaturale e il contrasto fra la pelle e i capelli scuri e l’azzurro di acciaio sullo sfondo. Le riproduzioni di tutti e tre i celebri italiani decorano le pareti della mia camera. Le guardo ogni giorno e le riscopro talvolta: vedo dei dettagli che non avevo mai notato prima, oppure mi accorgo del cambiamento dei colori a seconda dell’ora del giorno. Una cosa rimane tuttavia costante: sono circondata da pura bellezza. 
Ecco il mio viaggio sentimentale per l’Italia ed i souvenir non necessariamente materiali. Non mi resta che realizzare un viaggio reale e, con la stessa passione, percorrere le regioni, le città e le strade del Bel Paese.


Karolina Laderska, Cracovia, Polonia


giovedì 1 maggio 2014

Il Ponte


“Lei è francese, no?” – un bancarellista a Roma.
“Lei è irlandese?” - un cameriere a Rimini.
“Ma di dove sei? Sei come noi, no?” – due camerieri giovani a Taormina.
Sono statunitense. Parlo italiano perché l’ho studiato a scuola. Come mai? Perché la mia famiglia è italo-americana. No, non l’ho imparato a casa perché i miei genitori non lo parlano. Studio italiano per creare un ponte tra me e i miei antenati, per mantenere la vivacità della cultura e della lingua italiana negli Stati Uniti.

Il mio souvenir preferito dall’Italia è simbolico di questo ponte metaforico e della mia identità ed è una foto che ho fatto dal Ponte Rialto a Venezia. Appoggiata sul muro della mia camera c'è questa foto accanto a un dipinto del Ponte Rialto che ho comprato in una galleria d’arte qua in Pennsylvania. Insieme, per me, questi due elementi rappresentano la differenza tra studiare da una distanza e vivere quello che studio, un concetto che tengo molto vicino al cuore e che spinge i miei studi. Oggi, studio italiano grazie alla passione che mi arriva e corre nelle vene quando ho l’opportunità di parlare la lingua con un italiano e quando mi perdo in un romanzo o in un film italiano. Il mio stimolo per studiare italiano si è trasformato da uno sforzo esterno, la mia famiglia, a questo interno, trasformandomi dalla ragazza che guardava il dipinto sul muro della sua camera alla ragazza che ha scattato la fotografia. Intendo rimanere sempre quella ragazza che controlla la macchina fotografica, seguendo la mia passione per l’italiano e condividendo il mio entusiasmo con altri per via dell’insegnamento.

Gina Marie Mangravite, NY (USA)