“Lei
è francese, no?” – un bancarellista a Roma.
“Lei
è irlandese?” - un cameriere a Rimini.
“Ma
di dove sei? Sei come noi, no?” – due camerieri giovani a
Taormina.
Sono statunitense. Parlo italiano
perché l’ho studiato a scuola. Come mai? Perché la mia famiglia è
italo-americana. No, non l’ho imparato a casa perché i miei
genitori non lo parlano. Studio italiano per creare un ponte tra me e
i miei antenati, per mantenere la vivacità della cultura e della
lingua italiana negli Stati Uniti.
Il mio souvenir preferito
dall’Italia è simbolico di questo ponte metaforico e della mia
identità ed è una foto che ho fatto dal Ponte Rialto a Venezia.
Appoggiata sul muro della mia camera c'è questa foto accanto a un
dipinto del Ponte Rialto che ho comprato in una galleria d’arte qua
in Pennsylvania. Insieme, per me, questi due elementi rappresentano
la differenza tra studiare da una distanza e vivere quello che
studio, un concetto che tengo molto vicino al cuore e che spinge i
miei studi. Oggi, studio italiano grazie alla passione che mi
arriva e corre nelle vene quando ho l’opportunità di parlare la
lingua con un italiano e quando mi perdo in un romanzo o in un film
italiano. Il mio stimolo per studiare italiano si è trasformato da uno
sforzo esterno, la mia famiglia, a questo interno, trasformandomi
dalla ragazza che guardava il dipinto sul muro della sua camera alla
ragazza che ha scattato la fotografia. Intendo rimanere sempre quella
ragazza che controlla la macchina fotografica, seguendo la mia
passione per l’italiano e condividendo il mio entusiasmo con altri
per via dell’insegnamento.
Gina Marie Mangravite, NY (USA)
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