lunedì 22 settembre 2014

Quinta edizione del premio letterario "un dito nell'occhio": idee sul lieto fine


Scrivi il tuo finale e vinci un corso di lingua e cultura Italiana in Italia.
Anche quest'anno il Faro darà, a due talentuosi scrittori stranieri, la possibilità di vincere un corso di lingua italiana* presso il nostro Centro di Caorle (Venezia), partecipando alla quinta edizione del premio letterario un dito nell'occhio.

Per partecipare, inviaci un piccolo testo di massimo 1500 carattericambiando il finale di un libro, un'opera teatrale, un racconto per bambini o un film famoso.

Il concorso "un dito nell'occhio" dal titolo idee su lieto fine è organizzato dal Centro di lingua e cultura Italiana IL FARO di Caorle (Venezia).

Invia il tuo finale a unditonellocchio@gmail.com, entro il 9 maggio 2015.

I requisiti per partecipare al concorso sono i seguenti:
-avere più di 18 anni
-non essere di madrelingua italiana
-non essere residente in Italia. 

I vincitori del concorso saranno annunciati il 16 maggio 2015. 
In bocca al lupo!


*Il corso di lingua offerto da IL FARO agli autori dei due racconti vincenti ha la durata di 2 settimane ed include: test d’ingresso; 20 ore di lezione settimanali; materiale didattico; certificato di frequenza; prenotazione alloggio per tutti gli studenti che ne avessero bisogno. 
Il vitto, l’alloggio ed il trasporto rimangono a carico del partecipante al corso.

Il corso potrà essere frequentato solo ed esclusivamente dal 15 giugno 2015 al 25 settembre 2015.

sabato 10 maggio 2014





I vincitori della quarta edizione del concorso UN DITO NELL'OCCHIO sono:



Ivana Novokmet, con La storia di una gondola

e

Vanessa Paschakarnis, con La raspa diamantata



Congratulazioni alle vincitrici, e grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato  con i loro bellissimi racconti



lunedì 5 maggio 2014

Vi ricordiamo che sabato 10 maggio verranno comunicati i nomi dei due vincitori



Un grazie di cuore a tutti voi scrittori per i vostri bei racconti, che hanno reso speciale anche questa edizione di "un dito nell'occhio"!

Capriccio felsineo


Si prevedeva un freddo inerte e noi due abbiamo preso il piumino con il cappuccio. Mancavano quattro giorni a Capodanno quando siamo arrivate a Bologna. Di notte ed un po' smarrite, siamo scese alla Stazione (Ferroviaria). Moltitudine di persone intorno, due viali sconfinati e lunghi con le luci di Natale che attenuavano la notte e tre piccole strade con luminosità frivola per andare piano ed indietro fino ad arrivare all'albergo, a cinque minuti dal centro. Quella sera, dopo la cena, siamo solo riuscite ad andare al letto e pronunciare due parole: "Buona notte".L'indomani mattina, abbiamo fatto un giro nel centro storico della città. Abbiamo ammirato il fascino di Nettuno e la Piazza Maggiore, con il classico albero natalizio, circondata dai suoi principale palazzi; e ci siamo incamminate fino alla torre degli Asinelli, dalla cima della quale abbiamo potuto guardare lo splendore e l'eleganza delle torre ed anche la lunghezza del portico del Santuario. Più tardi, ci siamo fatte la fotografia con la Garisenda ed il passaggio XXXI della Commedia sullo sfondo, abbiamo comprato l'opera di Dante in Via Musei ed abbiamo pranzato al Ciacco. Al tramonto, mentre il giorno eludeva la notte, noi peccavamo di gola scoprendo la cioccolata calda con panna più buona del mondo.In quella caffetteria, dopo tre giorni, il cameriere mi ha regalato il souvenir più bello d'Italia, una penna stampata con il loro nome, La Torinesa, con cui ho cominciato a scrivere parte di questo diario.
Sandra Aguiló i NomenReus (Tarragona), Spagna

I ricordi di Nonna

Mia sorella e io abbiamo chiamato il salotto di Nonna "la camera delle memorie” perché era lì che Nonna ha fatto mostra di tutti i suoi ricordi d’Italia e anche delle sue foto di famiglia. Chiunque ha mostrato interesse su un ricordo - forse il trullo di ceramica che Zio Nicolò le aveva portato da Alberobello o il sottopiatto che una cugina le aveva mandato da Ostuni, o una foto dei suoi genitori o di qualche altro parente. Si otteneva sempre una descrizione nostalgica da Nonna e, talvolta, un aneddoto su un parente o su Nonna quando era bambina. Mia sorella e io vorremmo stare ancora  al centro della stanza e ruotare molto lentamente per vedere un ricordo dopo l'altro, immaginando di tornare indietro di molti anni, o in quella terra lontana d'Italia. "Oh, c'è il fischio Nonno riportato a Boston e poi utilizzato per chiamare la mamma e zia Elena a cena quando erano piccoli." Oppure: "Io vedo la fattoria in Anzano dove Nonna è cresciuta." A volte chiedevamo se potevamo "giocare 'con alcuni dei ricordi. Giocare con loro significava dover stare molto attenti con i tesori inestimabili di Nonna. Anche se Nonna era occupato con la cottura o la pulizia, Nonna di solito diceva "Sì". Amava il nostro interesse per le cose italiane. Spesso ci ha ricordato che eravamo americane, ma anche italiane. Dovevamo prendere ogni ricordo con attenzione e ogni volta lei ci diceva. "Stai attenta. Sono preziosi per me ", diceva che era un ricordo di Zia Pina che era morta da poco. La nonna non voleva farci dimenticare la nostra prozia, che ci salutava sempre con un pizzico delicato sulla guancia e ci dava sempre qualcosa di dolce da mangiare. Zia Pina di solito ci portava i cannoli fatti in casa per i pranzi di festa. Noi li abbiamo chiamati poi i"dolci di Zia Pina". A noi piaceva molto guardare i ricordi. C'era il piccolo trullo di ceramica in armadio, un piatto di Ostuni appeso al muro e poi c'erano le vecchie foto ingiallite dei nostri parenti italiani. Nelle foto, i parenti sembravano tutti così seri, non come i parenti italiani che avevamo conosciuto a Boston, e un giorno ho scoperto perché. 
Un giorno una delle mie cugine più giovani, Francesca, ha fatto la Prima Comunione. Noi siamo andate a far visita alla Nonna e abbiamo fatto alcune foto. Nonna indossava il suo abito da casa, con un turbante in testa, che era il suo solito costume per cucinare la cena della Domenica. La madre di Francesca, Zia Sophia, ha chiesto a Nonna di sedersi su una sedia della cucina, e a Francesca di stare accanto a lei. Francesca, ovviamente nel suo abito bianco con il velo. Ma si sarebbe pensato che Nonna era una regina in un abito di seta e una mantellina di ermellino. La foto era una faccenda seria per lei, senza dubbio perché era catturare un momento da ricordare. Proprio quando Zia Sophia stava per scattare la foto, Nonna si rivolse a Francesca e disse, in inglese, "Non mostrare i denti." Questo era così diverso da quello che chiunque altro della famiglia avrebbe detto ("Cheese" in Inglese - per allargare la bocca e mostrare un sorriso a trentadue denti) che abbiamo riso tutti - tutti tranne Nonna e Francesca, che ha obbedito a Nonna. Mi sono chiesta perché per un lungo periodo di tempo, e poi un giorno, quando io e mia sorella stavano guardando la foto del matrimonio della Nonna e Nonno, mi sono resa conto che non erano sorridenti, e chiesi a mia madre, "Erano infelici di sposarsi'" Ricordo che mia madre si mise a ridere e disse:" No. "Lei ha spiegato che le espressioni facciali serie erano tipiche delle foto di quell'epoca: le persone stavano in posa per le foto a lungo perché altrimenti le foto sarebbero state sfocate. Quindi la nonna aveva fatto lo stesso con Francesca, nonostante le fotografie fossero cambiate,e rimase lì finché l'obiettivo non venne chiuso. Ora ho capito perché molti dei miei parenti sembravano così tristi in quelle vecchie foto. Per anni, dopo la Prima Comunione di Francesca, abbiamo posato per le foto con Nonna, sempre senza mostrare i denti. Nonna è morta ora, e il suo salotto esiste solo nei nostri ricordi. Lei non ha lasciato un testamento formale. Invece, ha lasciato una nota nella quale diceva che i bambini potevano prendere la chincaglieria con cui giocare, senza fare attenzione, ma godendosela. Dietro ogni fotografia lei aveva scritto il nome di un parente al quale affidare la foto. Per lei le foto erano state importanti, perché aveva potuto farci conoscere così i nostri parenti. Lei ha scritto: "Mi sono piaciute le chincaglierie, le tovagliette, le piccole statue, e tutti gli altri ricordi che i miei parenti e amici mi hanno portato dall'Italia. Ma più di questo, mi sono divertita con i miei nipoti a giocare e a raccontargli storie su ogni oggetto e su ogni persona che mi aveva portato quell'oggetto. Non avevo bisogno di foto per ricordarmi dei miei genitori e dei miei fratelli e sorelle, ma le mie foto erano molto speciali per tutta la gioia che ho ricevuto quando i miei figli e i miei nipoti mi chiedevano delle persone nelle foto. Ho potuto attraversare la mia storia dall'Italia all'America. Ho fatto tesoro dei miei ricordi e delle mie foto, ma il tesoro più grande è stata la mia famiglia ... vi prego, cari figli," scrisse, "prendetevi cura gli uni degli altri perché siete i miei tesori più preziosi."
Diana D’India East Boston, USA

I trulli

Ricordo sin da bambina che provavo grande emozione quando parenti o amici rientrando dalla vacanze portavano alla mia famiglia in dono dei souvenir da svariate località soprattutto italiane. Ricordo che questi oggetti mi aiutavano a sognare: Colosseo in miniatura, portachiavi con disegni di luoghi unici, quadretti di ogni genere e tante altre piccole cose. Ma un giorno una mia zia tornando dall'Italia meridionale mi portò in dono una piccola casetta di gesso a forma conica, di colore bianco con tetto in pietra grigia... Non avevo mai visto una abitazione con simile architettura. C'era una scritta sulla base dell'oggetto: Alberobello. Così forte fu la mia curiosità che chiesi a mia zia dove fosse questo luogo e se davvero esistessero abitazioni simili. La risposta della zia non appagò la mia curiosità, infatti lei mi disse: "Sono andata qualche giorno a Bari quando ero in vacanza in Montenegro e tra shopping e buona cucina mi sono imbattuta in un negozio di oggettistica, dove ho trovato questo strano souvenir ed alcune cartoline che ti farò vedere!". Così estrasse dalla borsa tre cartoline che raffiguravano delle viuzze strette tra queste simpatiche casette, a quel punto le chiesi: " Ma tu ci sei stata in questo posto?" . Lei rispose di no. Così delusa dal racconto della zia, quel giorno promisi a me stessa che un giorno sarei andata a visitare quel luogo strano e curioso. Dopo tanti anni, diventata adulta decisi di andare in Puglia con la mia amica Sonja portando con me quel souvenir come portafortuna. Mi ero documentata un po' sul web, ma non avevo trovato molto, a dire il vero. Con la mia amica Sonja trascorremmo prima una settimana a Budva, in Montenegro e poi prendemmo il traghetto da Bar per raggiungere Bari. Facemmo la traversata in una notte d'estate e sul ponte della nave si poteva osservare il cielo stellato e respirare la brezza marina, fu lí che si avvicinò a me un uomo italiano chiedendomi di dove fossi e dove stessi andando. Era stato in vacanza in Montenegro, ospite di amici del luogo. Ricordo come fosse un sogno che parlammo tutta la notte di tante cose diverse. Si instaurò tra noi una complicità ed un magnetismo unico, le ore notturne volarono ed all'alba si incominciarono ad intravedere i campanili delle chiese romaniche del centro storico di Bari. Subito andai a svegliare la mia amica Sonja, che era andata a dormire, per non farle perdere quello scenario incantevole. Fabio, il mio nuovo amico italiano si offrì di farci da guida. Fabio era un ricercatore dell’Università di Bari, originario della Campania, era di poche parole, ma lasciava trasparire una cultura immensa. Fu una fortuna per noi accettare il suo invito. Così sbarcammo a Bari e ci dirigemmo in Hotel dove ci sistemammo e dormimmo per alcune ore. Visitammo Bari di sera, città meravigliosa, piena di vita, le vie del centro storico gremite di gente, la cattedrale di S. Nicola di pietra bianca meravigliosa ed immensa, belle le altre chiese, il castello normanno e le mura medievali. Il giorno dopo assaggiammo le famose orecchiette, uniche! E finalmente nel primo pomeriggio partimmo alla volta di Alberobello, la capitale dei Trulli.Man mano che uscivamo in auto dalla città, il paesaggio cambiava, subito si incontravano distese di ulivi secolari intervallate da vigneti e frutteti. A pochi chilometri dalla città bianche masserie fortificate a calce bianca riflettevano il sole sui poggi di collinette. Scendendo dal versante occidentale di questi colli seguendo il sole il paesaggio cambiò ancora una volta: il colore della terra diventò rosso, ogni tenuta o distesa di campo era delimitata da secolari muretti a secco, ed all'improvviso apparvero i primi trulli, si i trulli esistevano davvero e molti di loro erano anche abitati... Eravamo arrivati nella valle d'Itria. Terra dei trulli, di buon cibo e di ospitalità. Visitammo chiesette rurali uniche, masserie immense miste a trulli, mangiammo cibo mediterraneo e bevemmo un po' di vino locale. Il tempo sembrava volare via, arrivò subito il tramonto, ed i trulli bianchi si colorarono di arancio, arancio. Fu allora che Fabio ci portò ad Alberobello a vedere una intera città formata da trulli, fu per me un’emozione unica!Addirittura la chiesa era a forma conica, non potevo crederci... quel souvenir portato per caso da mia zia, che io credevo opera della fantasia di un artigiano, mi aveva condotto in una terra magica! Il cuore mi batteva forte, avevo realizzato un sogno che avevo sin da bambina ed la realtà era più bella del sogno, in più ero lí con la mia miglior amica ed una guida speciale conosciuta per caso. Fermi da tempo su un belvedere del centro storico non potei trattenermi dall'abbracciare e baciare Sonja e Fabio. Ero felice, troppo felice. Da allora penso spesso a quei momenti... Sonja vive fuori, Fabio lo sento di rado. Ma non nascondo che vorrei tornarci in quella terra a tratti magica, a tratti selvaggia... che ti entra dentro e ti accompagna per sempre!

Tamara Ćaćić, Belgrado (Serbia)

Un viaggio sentimentale


Il mio viaggio per l’Italia è cominciato molti anni fa e continua nel tempo. 
Il fascino che ho subito dovrebbe, come ogni incanto, indebolirsi nel corso del tempo. 
Eppure, osservando questo paese magico ancora più attentamente, mi perdo in questa 
miscela irreperibile di lusso e di bellezza, di gioia e di sensibilità, di pace e di follia. Lo ammiro e, a volte, non lo posso raggiungere, però rimango sempre con la sensazione di desiderarlo sempre di più.
I
Prima erano gli odori e i sapori che arrivavano dalla cucina. Gnocchi al gorgonzola, pizza alle zucchine, bruschetta, risotto con i porcini, caprese... Mio padre, un 
pazzo appassionato dell’arte di cucinare, ha trasformato la nostra casa in una piccola 
trattoria accogliente, e coglieva ogni occasione per farmi imparare i suoi segreti. Non mi ritenevo mai una persona dotata di talento nella preparazione di piatti squisiti, ma, a poco a poco, mi sono addentrata in questo mondo gustoso. Non vedevo l’ora di esplorare ricette diverse, di andare al mercato e mettermi alla ricerca del pane più croccante, della frutta più matura e succosa, dei formaggi freschi e dei salumi profumati. Ogni venerdì riguardavo il programma televisivo condotto da due italiani, in cui il mondo girava attorno al cibo. Mentre tagliavano, raccontavano la storia d’Italia e scoprivano di nuovo il paesaggio che li circondava. Non mi limitavo solo a ricostruire le loro idee, facevo degli esperimenti e sviluppavo la mia passione per la cucina. Essendo golosa e volendo addolcire la vita della gente intorno a me, ho iniziato a dedicarmi anche ai dolci. Ecco, così è apparsa la mia idea di gelato al limone, torrone, cantucci, torta di noci e tiramisù...
II
Ho conosciuto Bertolucci qualche anno fa. Avevo una serata libera e niente da fare. Nonostante fossero appena le diciannove, faceva già buio. La città affogava nella pioggia, tutti i passanti erano spariti, le strade erano già vuote. All'improvviso mi è saltato il grillo di andare al cinema e di scegliere uno spettacolo casuale. Ce n’era 
solo uno, Ultimo tango a Parigi. Senza riflettere ho comprato un biglietto. Dopo averlo guardato, mi sono venute in mente tre parole: rivoluzione, scandalo e, soprattutto, capolavoro. Quel momento ha dato inizio alla mia avventura esaltata con il cinema italiano. Poi, Io ballo da sola, che mi ha sedotto ancora di più. Il panorama della Toscana con i suoi campi d’oro, le vigne e gli ulivi, i dialoghi oziosi che rispecchiavano il dolce far niente realmente esistente e soprattutto la protagonista, sensuale e nello stesso tempo fragile, a corto di esperienze sconosciute. Mi immedesimavo molto in lei, sprofondando, come Lucy, continuamente nei miei pensieri ed avendo tanto da esprimere. Quest’opera ha marcato un nuovo capitolo della mia esistenza. 
Allora non lo sapevo, ma mi aspettavo ancora un incontro. Un incontro che mi ha messo in ginocchio. Un incontro con delle donne anonime, con degli uomini casuali 
e delle storie molto universali, che si potevano svolgere dovunque. Le storie che tutti 
conosciamo, che ci diventano immediatamente vicine. Le storie ricche nelle scene 
commoventi, gli alti e bassi dei protagonisti, i loro dubbi, le scelte, le sofferenze e le 
passioni. Un incontro con Roma, Milano, Venezia, Torino, e Verona in bianco e nero. Le città che riflettevano l’immagine dell’ Italia che si stava sviluppando e che giocavano un ruolo di secondo piano, ma della stessa forza di quello principale. Un incontro con Antonioni e il cinema degli anni cinquanta e sessanta.
Recentemente ho fatto un’altra scoperta. La Grande Bellezza, tre parole che senza ombra di dubbio possono definire l’Italia. Tre parole che bastano per ricevere il premio Oscar e la considerazione di tutto il mondo. Il ritratto della città eterna, non abbellita come le cartoline vendute davanti dal Colosseo, dipinto dalla credibilità indiscussa. Gli spettatori entrano nell'universo dei monumenti e della chirurgia plastica, del rumore insopportabile delle feste infinite e del silenzio delle mattine, quando tutti i turisti non si sono ancora svegliati. Della mondanità e della spiritualità. Finalmente della ricerca di bellezza, dei piccoli momenti che ignoriamo, che ci scappano e che si possono venire ritrovati ovunque. Soltanto un italiano avrebbe potuto scrivere e realizzare un così splendido inno alla vita.
III
Il senso che trovo più sviluppato e che mi dà più impressioni è la vista. Mentre percepisco la realtà, cerco soprattutto l’aspetto estetico, mai quello pratico. Innamorarmi dell’arte era diventato soltanto una questione di tempo. La prima volta che ne me sono resa conto è stato quattro anni fa, durante l’estate. Avevamo guidato per molte ore, tutti eravamo esausti del caldo e del viaggio. Improvvisamente, la macchina si è fermata e prima di fare un sacco di domande ai miei genitori, ho notato che eravamo saliti su un piccolo trenino che ci ha portato sulla collina. Era una notte calda e silenziosa, ci perdevamo in stradine incantevoli e ci immergevamo nel clima mite dell’Umbria. Ho alzato la testa e bruscamente ho osservato che ci trovavamo davanti al duomo di Orvieto. Era perfetto. Così potente che non si poteva quasi vedere la cima, così pieno di colore, d’oro e di celeste, che non si voleva guardare altrove. L’ho guardato fisso, affascinata, e ho provato piacere per ogni dettaglio.
La nascita di Venere di Botticelli, L’ingresso al Canal Grande di Canaletto e Zingara con bambino di Modigliani. Il quadro di Botticelli si distingue per l’armonia caratteristica del Quattrocento. Venere rappresenta il mio ideale di donna ed è esattamente come la immaginavo leggendo la mitologia. La città nel paesaggio veneto di Canaletto è magnifica, assolata e vivacissima, con la cupola azzurra di Santa Maria della Salute che si solleva sulla scena, con i palazzi pittoreschi che appaiono a destra del quadro e con le gondole in basso che attraversano il canale. La Zingara di Modigliani è la mia preferita, enigmatica come tutti i personaggi nei suoi ritratti, un po’ assente, un po’ infelice. 
Eccezionale nella sua lieve deformazione, con il collo allungato in modo innaturale e il contrasto fra la pelle e i capelli scuri e l’azzurro di acciaio sullo sfondo. Le riproduzioni di tutti e tre i celebri italiani decorano le pareti della mia camera. Le guardo ogni giorno e le riscopro talvolta: vedo dei dettagli che non avevo mai notato prima, oppure mi accorgo del cambiamento dei colori a seconda dell’ora del giorno. Una cosa rimane tuttavia costante: sono circondata da pura bellezza. 
Ecco il mio viaggio sentimentale per l’Italia ed i souvenir non necessariamente materiali. Non mi resta che realizzare un viaggio reale e, con la stessa passione, percorrere le regioni, le città e le strade del Bel Paese.


Karolina Laderska, Cracovia, Polonia


giovedì 1 maggio 2014

Il Ponte


“Lei è francese, no?” – un bancarellista a Roma.
“Lei è irlandese?” - un cameriere a Rimini.
“Ma di dove sei? Sei come noi, no?” – due camerieri giovani a Taormina.
Sono statunitense. Parlo italiano perché l’ho studiato a scuola. Come mai? Perché la mia famiglia è italo-americana. No, non l’ho imparato a casa perché i miei genitori non lo parlano. Studio italiano per creare un ponte tra me e i miei antenati, per mantenere la vivacità della cultura e della lingua italiana negli Stati Uniti.

Il mio souvenir preferito dall’Italia è simbolico di questo ponte metaforico e della mia identità ed è una foto che ho fatto dal Ponte Rialto a Venezia. Appoggiata sul muro della mia camera c'è questa foto accanto a un dipinto del Ponte Rialto che ho comprato in una galleria d’arte qua in Pennsylvania. Insieme, per me, questi due elementi rappresentano la differenza tra studiare da una distanza e vivere quello che studio, un concetto che tengo molto vicino al cuore e che spinge i miei studi. Oggi, studio italiano grazie alla passione che mi arriva e corre nelle vene quando ho l’opportunità di parlare la lingua con un italiano e quando mi perdo in un romanzo o in un film italiano. Il mio stimolo per studiare italiano si è trasformato da uno sforzo esterno, la mia famiglia, a questo interno, trasformandomi dalla ragazza che guardava il dipinto sul muro della sua camera alla ragazza che ha scattato la fotografia. Intendo rimanere sempre quella ragazza che controlla la macchina fotografica, seguendo la mia passione per l’italiano e condividendo il mio entusiasmo con altri per via dell’insegnamento.

Gina Marie Mangravite, NY (USA)

lunedì 28 aprile 2014

Come un “ninja”

Ho un hobby un po’ imbarazzante: mi piace leggere e fare la raccolta di fumetti. Quando ho un fumetto tra le mani posso godermi sia la storia sia la grafica, le due passioni dei fumettisti. Ho notato che la maggior parte dei fumetti pubblicati negli Stati Uniti racconta le vicende di supereroi, quindi, quando una sola scelta è disponibile, si desidera qualcos'altro. Per questo motivo, ho deciso di cercare altri tipi di fumetti.
Quando sono stato a Genova l’inverno scorso ho iniziato una ricerca rigorosa di fumetti e fortunatamente non sono dovuto andare lontano perché nella stessa strada del mio albergo c’era una “fumetteria”! Che meraviglia!
A questo punto avevo già realizzato metà del mio sogno, comunque pensavo che la parte successiva sarebbe stata la più difficile: se gli appassionati italiani di fumetti sono simili a quelli americani, questo significa che anche a loro piace discutere ad alta voce di fumetti con tutti, anche con gli sconosciuti, ed in questo caso, con me!
Forse non mi fidavo della mia abilità di parlare in italiano, e dunque non mi sentivo pronto a fare una conversazione in una lingua di cui avevo solo una conoscenza limitata. Come un “ninja”, ho preso silenziosamente alcuni libri, ho pagato in contanti, e sono riuscito a fuggire senza problemi!
Per la prima volta avevo comprato qualcosa che univa i fumetti allo studio della lingua italiana. Ne ho aperto uno e sono immediatamente stato colpito da tutto quello che potevo capire! E se non avessi compreso una parola, avrei potuto controllarla sul dizionario.

Con questi fumetti, ho l’opportunità di migliorare la mia conoscenza dell’italiano nel modo che mi piace tanto!

Andrew Lockard, Maryland (USA)

Il piacere del caffè



Sono un amante del caffè. Lo bevo amaro senza zucchero e senza latte perché mi piace proprio il gusto del caffè. Quando ero in Italia, ero in paradiso! Non importava dove mi trovavo, ma del caffè buono ce n'era sempre.
Come in America, bere il caffè in Italia, è un evento sociale e uno dei miei ricordi più speciali, più importanti è quando mi svegliavo tutte le mattine perché il profumo del caffè girava per la casa arrivando fino all'ultimo piano dove dormivo. Mi alzavo e scendevo in cucina dove mi aspettavano tutti giorni una tazza di caffè e Rosanna, la signora che mi ospitava, la mia “mamma” italiana. Per i successivi venti o trenta minuti stavamo lì a bere il caffè, facevamo colazione e discutevamo dei nostri programmi del giorno o del tempo, delle mie speranze, e delle differenze tra l'America e l'Italia; lei mi dava consigli o informazioni, o stavamo a tavola in silenzio, tranquilli. Ma tutte le mattine eravamo insieme a gustare il caffè. Mi sentivo fortunato, perché la mia “mamma” era anche lei un'amante del caffè. Quando finalmente sono riuscito a comprare una moka per fare il “vero caffè italiano” ero estasiato.
È l'oggetto più importante che ho portato dall'Italia e ogni volta che la uso mi fa ricordare quelle mattine! Il suono del caffè che “passa” e il suo aroma quando lo verso nella tazzina mi rende felice!


Mario Finelli, Maryland (USA)

La torre

Era davvero uno spettacolo: i due ragazzi ammiravano il miracolo dell’edificio che sembrava sfidare le leggi della fisica. Pendeva perfettamente sbilanciata, sospesa, indifferente alla forza di gravità che costringeva i semplici umani a terra.
Gli occhi di Marco rimasero fissi sulla torre, mentre Antonio distoglieva lo sguardo per aggiustare la macchina fotografica. Scattate le foto, guardò il suo amico, che stava con la testa inclinata da un lato.
- Ci sei? - gli gridò.
Turbato, come chi si sveglia da un sogno, Marco gettò uno sguardo minaccioso. Antonio capì il vero motivo di quell’occhiata malvagia: era l’insostenibile peso della sconfitta del suo amico.
- Allora? Che ne pensi, Marco?
Marco guardò di nuovo la torre. Si stupiva dello smalto splendente del marmo che, in quel momento, sembrava brillare di una maggiore intensità. Scrutò le colonne colossali che imprigionavano i suoi occhi. Pensò a tutte le case, chiese e cattedrali che aveva visto fino ad allora, ed era sempre più convinto che non esistesse nulla di simile al mondo. Si vantava di aver visto tutti i più bei monumenti italiani, ma aveva sempre trascurato, non solo la Piazza del Duomo, ma anche questo monumento che rappresentava l’Italia: la torre di Pisa. Era proprio una vergogna, ma decise di non dare la soddisfazione della vittoria al suo amico Antonio.
- Niente! Rispose Marco.
- Niente? – replicò Antonio con un tono incredulo.
Entrambi sapevano che era una bugia.
- Niente di niente!!!! Disse Marco.
Il suo amico rivolse l’attenzione alla torre, dopodiché replicò:
- Non sono mica convinto; anzi, sono proprio sicuro di ciò che dicevo prima. Non esiste sulla terra un altro edificio che rappresenti l’Italia come questo: straordinario, storto, insolito, ricco di storia, inclinato, difettoso, ma dignitoso; insomma, degno d’ammirazione! Ma, visto che non ti interessa, non avrai bisogno della tua foto - Detto questo, apparve sul volto di Antonio un sorriso che segnalò il trionfo.

Prima che Marco potesse parlare, sentì in mano un oggetto familiare, fatto di legno: era una piccola cornice e nel mezzo c’era l’immagine della torre. 

Sankara Kasanje, Maryland (USA)

L’elefantino di ceramica


L’estate scorsa sono andata a Venezia con la mia famiglia, era la seconda volta che visitavamo Venezia. Ci piace molto questa città perché c’è una varietà di cose da fare: visitiamo i musei, guardiamo le gondole, facciamo compere, mangiamo nei ristoranti tradizionali e osserviamo le opere d’arte.
Mentre eravamo in giro per negozi, mio padre ha visto un elefantino di ceramica in una vetrina e, poiché sa che faccio raccolta di elefanti, mi ha chiesto se volevo comprarlo.
L’elefante era in ceramica bianca e nera con venature verdi e blu, la forma un po’ tonda ed aveva solo il profilo dell’elefante, con la proboscide, un occhio, e un orecchio a forma di mezzaluna. Questo elefante è stato fatto con la tecnica Raku. Raku è una tecnica giapponese che ebbe inizio nel sedicesimo secolo. L’elefante era molto delicato ed è stato l’unico souvenir che ho portato a casa. E’ molto significativo per me perché mentre lo compravo, io e la negoziante abbiamo fatto una lunga ed interessante conversazione in Italiano. Mi ha raccontato la storia delle ceramiche Raku ed il significato dei diversi colori. Il souvenir è anche speciale perché è stata la prima volta che mio padre mi ha sentita parlare in Italiano. Era orgoglioso di me!
Ora, l’elefante è sulla scrivania in camera mia e, ogni volta che lo guardo, mi ricorda il mio viaggio a Venezia!

Christina Cuatto Maryland (U.S.A.)

martedì 22 aprile 2014

La maschera di Venezia



Era già suonato il campanello che indicava la fine di un’altra giornata all'università. All’ultimo minuto il professore ci ha detto “Vi raccomando ragazzi domani portate con voi un oggetto che ha un valore sentimentale per voi.” Tutti i miei amici discutevano tra di loro l’oggetto che avrebbero portato in classe. Io non avevo bisogno di pensarci troppo a lungo. Sapevo già che cosa avrei dovuto portare in classe. Quando sono rientrata a casa sono corsa in camera mia a cercare nei cassetti. Poi l’ho trovata, la maschera di carnevale di Venezia. Sono restata lì, immobile a fissarla. Poi ho cominciato a ricordarmi di nuovo di quella vacanza meravigliosa in mezzo a Venezia e della storia dietro quel souvenir.
Io e Marco avevamo deciso di fare questa vacanza per riavvicinarci un po’. Con i miei impegni dell’università e quelli del lavoro di Marco era diventato quasi impossibile incontrarci. E quando ci incontravamo litigavamo. Avevamo bisogno di staccare la spina così abbiamo scelto di trascorrere cinque giorni a Venezia. Cinque giorni da sogno. Parlavamo proprio di tutto: della nostra famiglia, dei nostri amici, degli altri viaggi fatti all’estero. Camminavamo tra le strade di Venezia senza avere una meta. Non ci accorgevamo del tempo che passava. Era come se fossimo stati ingoiati da quelle stradine. Qualche volta ci fermavamo a farci una foto o a prendere qualcosa da mangiare. Poi riprendevamo a camminare. Mi ricordo che volevo sempre passare da Calle larga XXII Marzo per guardare le vetrine dei negozi. Chissà se una volta avrei potuto comprarmi dei vestiti in uno di quei negozi? Ogni volta Marco era come se mi leggesse i pensieri e mi diceva “Caterina svegliati dai tuoi sogni, sono soltanto vestiti come quelli che hai addosso”.
Durante il terzo giorno eravamo ripassati di fronte al negozio di abbigliamento di Versace. Come al solito mi ero fermata a guardare i capi dietro le vetrine. Quel giorno gli avevo chiesto: “Ma tu pensi che un giorno avremmo abbastanza soldi per vivere bene?” Lui mi aveva guardato con gli occhi lucidi e mi aveva detto “Ti va un gelato?”. Ero talmente contenta di quel giorno passato insieme che non mi ero accorta che non voleva rispondere a quella domanda. Mi ricordo che quando eravamo rientrati all’hotel, Marco era stanco ed è andato subito a letto. Io non potevo prendere sonno così mi sono affacciata alla finestra con le cuffie negli orecchi ad ascoltare un po’ di musica. Presto tutto sarebbe finito e saremmo ritornati alla nostra vita. Forse avremmo fatto un’altra vacanza insieme. Il problema erano sempre quei maledetti soldi. Così mi sono ricordata della domanda a cui Marco non aveva ancora risposto. So benissimo che Marco non è uno di poche parole e se non mi ha risposto è perché quella domanda lo metteva a disagio. Durante quei giorni non aveva mai parlato del nostro futuro insieme. Eppure avevamo fatto molte gite romantiche sulle gondole e abbiamo passato le sere a guardare le nostre figure nell’acqua di Venezia. Di sicuro aveva avuto più di un’occasione per dirmi che cosa provava per me. Improvvisamente ho cominciato ad avere sonno e ho deciso di andare a letto.
L’indomani mi sono svegliata sola in quel letto grande. Erano già le dieci! Perché non mi aveva svegliata? L’ho cercato nel letto e ho visto che non c’era. Forse si trovava al bagno. No, mi sbagliavo non era neanche lì. Mi sono girata di nuovo verso il letto e mi sono accorta che sul pavimento c’era un sacchetto con dentro una busta e un pacchetto. Ho deciso di aprire la busta. C’era scritto:
Cara Caterina. Se stai leggendo questa lettera è perché ti sei accorta che non ci sono. Sono un codardo. Non ho coraggio di dirti quello che provo perché quando sono di fronte a te mi blocco e non voglio vederti soffrire. Ti ho amato moltissimo e sono sicuro che provo ancora qualcosa per te. Ma come possiamo continuare a vivere in due mondi diversi? In questo momento so che sei furiosa e ferita ma credimi ho fatto delle brutte cose e tu non le meriti. Non meriti di essere con uno che non vuole aspettarti e che non ti apprezza per quello che sei. Caterina, hai bisogno di un uomo accanto al tuo fianco. Io sono ancora un ragazzo che vuole soltanto divertirsi e uscire con i suoi amici senza alcuni legami. Ti sembrerà strano ma ti ho preso un regalo. In quel pacchetto troverai una maschera come quelle che ti sono piaciute tanto quando abbiamo visitato le botteghe veneziane. Quando guarderai quella maschera voglio che ti ricordi che tu hai fatto di tutto perché la nostra relazione funzionasse. Eppure io mi sono sempre nascosto dietro una maschera per poterti piacere. Ma adesso basta. Basta per te e per me. Ti voglio bene e ti meriti di meglio. Ciao. Non dimenticherò mai questi giorni stupendi.”
Dopo aver letto tutto, mi girava la testa. Le lacrime mi scendevano sulle guance. Ho guardato quella bellissima maschera piena di colori, con le labbra perfettamente chiuse che mi trasmette una sensazione di mistero. Ho letto e riletto quelle parole diverse volte e per me non avevano senso. Perché aveva aspettato quella vacanza? Non me lo poteva dire prima? Che cosa gli ho fatto di male? Un sacco di domande inondavano la mia testa senza trovare le risposte. Poi ho cominciato a ricordarmi di quante volte mi aveva detto che non voleva uscire perché era stanco, quante volte aveva fatto tardi al lavoro e quante volte gli era suonato il cellulare e lui lo non rispondeva. Sono stata veramente stupida e cieca. Come ho fatto a non accorgermi di niente? Improvvisamente mi è ritornato in mente il testo di una canzone italiana e della voce di Alessandra Amoroso. “Che stupida che sei tu non impari mai”. Sì infatti non ho mai imparato a fare la mia strada senza essere ferita.
Mi ricordo che dopo aver pianto per due ore sono andata a farmi una doccia. Poi ho preso la mia borsa e sono uscita a fare un giro tra i canali di Venezia. Questa volta camminavo da sola e più camminavo più mi sentivo libera.  Era come se l’aria di Venezia mi stesse togliendo i pensieri e mi permettesse di sognare della nuova vita che mi aspettava una volta rientrata a casa. Stranamente mi stavo accorgendo che in fin dei conti mi mancava la vita dei single.
Oggigiorno quando guardo quella maschera mi ricordo di quella vacanza che alla fine si era rivelata la migliore della mia vita. Ero riuscita a prolungare il mio soggiorno lì per un’altra settimana. Una settimana dove ho potuto ritrovarmi e fare le cose che mi piacevano di più, senza esitazioni. Domani all’università porterò questo souvenir; il souvenir che rappresenta la fine di una relazione e l’inizio di una nuova vita.

Sharon Abdilla, Malta

Le carte da Briscola


Centoventi!” ha gridato mio padre con un bell'accento americano, battendo la mano contro quella di mio fratello. Nonostante avessi giocato a briscola tutto l’anno a Bologna con i miei coinquilini, i miei mi hanno sconfitto. Avrei dovuto vergognarmi, ma mi sono sentita invece completamente in pace con il mondo. I miei genitori e mio fratello lavorano a orari diversi ed io sono sempre all'università e quindi non ci troviamo insieme abbastanza spesso. Per questo, è stato un miracolo il giorno in cui sono riuscita a convincerli ad imparare a giocare a briscola. C’è qualcosa di magico in quel mazzo di carte plastificate, comprate in un supermercato calabrese un anno fa, che ci unisce a tavola ogni volta che sono a casa.
Avrei dovuto sapere che erano speciali quelle carte mentre ero ancora in Italia. Era lì che avevano compiuto l’impresa più difficile che esista, ovvero quella di far passare velocemente un viaggio di 14 ore in autobus. Chissà quante partite abbiamo fatto io e il mio ragazzo Giuseppe fra Reggio Calabria e Bologna?
Tuttavia, la cosa più bella di quelle carte è che hanno il potere di unire la gente attraverso un oceano. Mi viene in mente una volta in cui io e mio padre abbiamo giocato a briscola su Skype con Giuseppe. Per una bellissima mezz'ora, il confine fra l’America e l’Italia era confuso. La distanza non esisteva. Non riuscivo a smettere di sorridere. Tutte e quaranta quelle carte- sì, anche i lisci- sono e saranno sempre cariche di significato per me.

Cindy Columbus, Bryn Mawr, Stati Uniti

venerdì 4 aprile 2014

La storia di una gondola



Sono sullo scaffale, immobile, quasi invisibile.
Accanto a me ci sono vari libri,vasi e figurine,che proprio come me raccolgono la polvere,stanno in silenzio.Sì,non parliamo,tante cose le teniamo per noi stessi e molte di più abbiamo da dire. Forse,per voi,siamo solamente un pezzo da decorazione che si adatta ad un enorme mosaico,ma noi siamo più di tutto questo,ci dovete solamente osservare con attenzione ed ascoltarci con pazienza.
Ho trascorso tanto tempo lungo la sinuosa superficie dell’acqua di Venezia,dai giorni oscuri quando regnava la peste,fino ad oggi,quando si può incontrare la gente da tutte le parti del mondo,oggi quando la città ispira con la sua eternità e l’indescrivibile fascino.
Da sempre la gente si fidava di me e mi sceglieva con l’intenzione che gli mostrassi Venezia dall'angolo più bello.Passando attraverso il centro della città assorbivano tutto il lusso dei palazzi nobili.Potevano godersi anche la bellezza della Chiesa di Santa Maria della Salute,la quale con la sua bianchezza ha dovuto gettare nell'oblio il dolore e la sofferenza,e tutti i ricordi sulla peste,sulla morte nera.
Una innumerabilità di volte sono passata sotto il Ponte dei Sospiri,dove c’era la prigione dalla quale è riuscito a fuggire solamente il più famoso amante del mondo-Casanova.Ma quante coppie passavano sotto ogni ponte,baciandosi nella speranza di restare innamorati per sempre,proprio come la leggenda narra.
Generalmente siamo di color nero,e spensierate navighiamo portando un grande numero di visitatori,amanti del passato e dell’arte,sognatori,vagabondi...I suoni della città, i quali sono passi dei curiosi visitatori e la musica dei vivaci cantanti,sono indescrivibili,irreali,e si mescolano con gli odori della città e trascinano tutto via,nell'infinità,nel mondo dell'amore e dell’immaginazione.
E anche quando ero legata e galleggiavo,ho visto e sentito tutto quello che si nascondeva da me,che era lontano dall'acqua e che si svolgeva sul suolo.La gente,volendo conoscere lo spirito della città,si immergeva nel labirinto composto da strette,simili stradine in cerca delle silenziose,medioevali piazze.Durante queste passeggiate,poteva succedere che in qualche deserta strada sentissero,dalle mura di sasso,uno smorzato sussurrio,oppure delle quiete grida che si perdono nella lontananza portate via dal vento.Quelle erano le voci delle anime intrappolate,delle anime di quelli che hanno vissuto nei giorni peggiori,di quelli che hanno subito la brutalità e l’ingiustizia che la vita può portare,di quelli che se ne stavano in silenzio e adesso,proprio come me vogliono parlare e si vogliono liberare da tutte le pene,da tutto quello che era brutto,da tutto quello che hanno visto,ma non volevano ricordarsene,da tutto quello che hanno vissuto.
Le passeggiate lungo le vie della città conducevano la gente dai ponti,attraverso i condotti,fino alle piccole piazze con degli strani pozzi e altissimi monumenti.Conducevano fino alle viste che lasciano senza fiato,fino alle regioni con delle serie di case eleganti decorate con le finestre di stile veneziano,oppure alle regioni delle case al di sopra “le strade acquose”,fino alle viste che si vedono solo una volta,si interpretano in un modo speciale,e restano incise nella memoria per sempre.
Ho assistito a tanti Carnevali.Quello è un periodo dell’anno quando le persone si nascondono sotto le maschere,si dimenticano della realtà,e per un istante saltano fuori dalla stessa,hanno l’opportunità di essere quello che sono,essere allegri e di vivere la vita come mai prima.In quel tempo,nell'aria si distendono l’allegria,la gioia,l’amore,l’amicizia che si presentano attraverso la danza e la musica.I vestiti meravigliosi e pomposi si mescolano nella folla e lasciano l’impressione di un sogno,una favola,una storia inventata...un’immaginazione.Ma poi,le maschere si tolgono,i volti si svelano,tutto è come prima...La gente si prepara per partire,mette da parte i vestiti variopinti e si siede sul treno,del quale l’ultima fermata è la realtà.
Il mondo che vedo...Non lo osservo solo con i miei occhi e non lo conosco solamente dalla mia esperienza,guardo anche con occhi altrui,vivo le storie dei causali passanti,e di quelli che trasporto,condivido i sentimenti con tutto quello che mi circonda ma non ha influenza su di me,ho vissuto per me stessa,ma anche attraverso gli altri.I minuti,i giorni,gli anni e i secoli si sostituivano e passavano al volo.Gli eventi si susseguivano e si annodavano,e i cambiamenti erano frequenti.La mia storia non sono solamente i monumenti medioevali,le strade strette,e le piazze di sasso,la mia storia sono anche le persone,il loro carattere,i dilemmi della vita,i dubbi...La mia storia è molto di più delle mura antiche.
C’era sempre la felicità,non è possibile reggere in questo mondo crudele senza di lei,ma da sempre era limitata in un modo,e non ugualmente distribuita a tutti.L’amore era,in ogni epoca,quello che ci circondava,ci univa e che ricordava gli umani che sono capaci di amare,di sentire.La sincerità e l’amicizia erano,come adesso,rare,ma solide e sicure.Ecco,la felicità,l’amore,l’amicizia e la sincerità...e la sofferenza,il dolore,la tristezza,l’ingiustizia?
Solo quanti affamati ed infelici bambini c’erano,quante persone tristi,delle quali,le lacrime scivolavano all'ingiù dai visi esausti,e poi cadevano dalle labbra screpolate sul mio suolo di legno,e nessuno lo ha notato,nessuno si è mai girato.Quelle lacrime erano piene di dolore,gridavano e desideravano avidamente quel poco di felicità che molti avevano,ma tenevano per sé.A loro anche la più piccola parte della serenità e dell’attenzione che tanti avevano,poteva ridargli quello che la vita ha brutalmente preso.
Ed eccomi,sullo scaffale,immobile,quasi invisibile.Accanto a me ci sono vari libri,vasi e simpatiche figurine,che proprio come me,raccolgono la polvere,stanno in silenzio...Sì,stiamo in silenzio!E vedete quante cose io tengo in me,quante cose ho visto,sentito...Per voi,siamo solamente un pezzo da decorazione che si adatta ad un enorme mosaico,ma io so che siamo più di tutto questo,noi siamo una ricca tesoreria della storia mondiale,ci dovete solamente osservare con attenzione ed ascoltarci con pazienza.Ma no...tutti ci prendono e ci mettono su una pianura di legno.

Ma io griderò,lascerò la mia voce,perché voglio che tutti quelli che mi toccano,oppure mi sfiorano con uno sguardo,sappiano che ho viaggiato lungo Venezia.Voglio che sappiano che la superficie dell’acqua ha un potere per trascinare tutti in un misterioso,indescrivibile passato che così forte attira la gente da tutto il mondo,e che loro sono quelli che con me,possono visitare la città fermata nel tempo.

Ivana Novokmet,Valjevo,Serbia

lunedì 24 marzo 2014

La raspa diamantata



Attraversando la città di Carrara in Toscana, si sente la salita verso la base della montagna. Appena fuori dalla città, noi ci troviamo a guidare per le serpentine su una piccola strada che ci guida in cima alla montagna. Entriamo in un mondo diverso, il mondo del marmo toscano.
La vista è straordinaria e allo stesso tempo spaventosa. Gli autocarri portano fino a sessanta tonnellate giù dalle centinaia di cave, manovrando per i tornanti delle strade fatte di marmo che ruotano per le montagne e sembrano una ragnatela fitta e stupefacente.
Qui lavorano gli uomini senza paura dell’altezza, che sono parte di molte generazioni di famiglie che vivono e lavorano con il marmo bianco, famoso in tutto il mondo. Il lavoro è duro e pericoloso. In estate, il sole riflette sulla superficie bianca e rende l’aria soffocante, in inverno, invece, porta il gelo.
La tecnica per estrarre il marmo è cambiata marcatamente negli ultimi secoli. Oggi si trovano gli automezzi giganteschi. È un vero spettacolo vedere come queste macchine siano trasformate in miniature nello sfondo della montagna enorme di marmo.
Il materiale che ha cambiato tutto per l’estrazione dell’oro bianco è il diamante. Con i diamanti galvanizzati nell'acciaio, il marmo si taglia come burro. L’uso dell’acqua è fondamentale per assicurare che la polvere sia portata via e non scaldi il marmo e gli utensili.
C’è il filo diamantato per tagliare e c’è anche la sega di misura grande che taglia il blocco dalla faccia della montagna. I diamanti grezzi servono per tagliare i blocchi. I diamanti più fini sono usati per lucidare il marmo. Si trovano anche piccoli utensili a mano con diamanti: questa raspa diamantata, per me, è un oggetto che mi ricorda quella gita fatta nella montagna di marmo.

VANESSA PASCHAKARNIS, West Dublin, Nova Scotia, Canada

domenica 2 marzo 2014

La bella Siena


Avevo tre anni quando sono stata in Italia per la prima volta. Poi ci sono stata tantissime volte e il fascino non mi ha mai lasciato. L’Italia è piena di attrazioni bellissime, tra queste il Lago di Garda con i bei paesi sul lungolago, la Città Eterna (Roma) con una storia fantastica e una città come Torino, che sembra un quadro con le montagne sullo sfondo della città. L’Italia ha praticamente tutto e per questo è amata da tutto il mondo. Ma c’è una città che mi piace più delle altre e quella è Siena. Siccome ho vissuto qualche mese a Siena, conosco questa bella città in un modo diverso dalle altre città italiane. Siena è, secondo me, una città molto particolare che non si trova in altri posti nel mondo. Non so mai da dove cominciare quando devo raccontare di Siena, perchè ci sono così tante cose interessanti da dire. Ovviamente è più facile cominciare con Piazza del Campo, che è una piazza particolarmente bella con la sua forma di mollusco e la torre del Mangia, da cui si ha una vista meravigliosa sulla città e la campagna toscana. Un’altra cosa bellissima è il Duomo che probabilmente è il Duomo più bello che io abbia mai visto. In generale c’è un’atmosfera fantastica, con la gente seduta sulla piazza al sole, mentre mangia un gelato, nell’aria fresca di una città senza macchine. Una volta ho avuto il piacere di vedere il Palio, uno dei più grandi orgogli di Siena. Quella è stata un’esperienza che non dimenticherò mai, con così tanta passione e gioia. Per me è stata un’esperienza fantastica vivere a Siena, ho imparato tanto sugli italiani e anche la lingua che amo. Spero che non sia stata l’ultima volta che ho vissuto in questa bellissima città.

Signe Olsen, Copenhagen, Danimarca  

mercoledì 12 febbraio 2014

Erasmus a Trieste


Sono venuto in Italia per l'Erasmus a Trieste. Devo dire la verità, il primo periodo è stato molto difficile, poi meglio e mi sentivo bene in questa città, molto speciale, un po ' ruvida e calda allo stesso tempo. Per fortuna sono arrivato nella stagione calda, prendere il sole e fare pic-nic sono stati un buon modo per passare il tempo e fare amicizia con altri studenti stranieri.
Ho seguito un corso di letteratura italiana che era ovviamente legato agli scrittori di Trieste e mi sono innamorato di Saba.
L'Erasmus è un'esperienza forte, sei come un po 'stordito, quasi ubriaco e pronto a fare cose che non faresti a casa, come vivere con 7 persone. Tutto è intenso. Non posso rivivere attraverso le parole questo periodo, non so scegliere tra i diversi souvenir portati a casa: cibo, vestiti, libri.
Ho fatto mia la città e ora ne faccio parte, le voci, il mare, le montagne, il confine, il vento... Nella mia camera c'è una bella cartolina del Faro della Vittoria e quando la guardo sento odore di sale, se chiudo gli occhi, mi immagino un sacco di barche nel Golfo e le ragazze in costume, la pizza fredda e il vino bianco caldo. Ma soprattutto mi ricordo l'alba sul molo Audace con il mio amore italiano, che è finito alla fine del programma, ma sono felice di averlo avuto, nonostante tutto .
La vita non è così, ma è importante che, almeno per una volta, lo si pensi.


Daniel Van Den Broek, Belgique

martedì 4 febbraio 2014

Vetro di Murano


Da molto studio italiano e vengo ogni anno in Italia per una settimana, quindi ho molti souvenir d'Italie. Ma piuttosto che parlare di quelli che ho, voglio raccontare la storia di quello che volevo e non ho.
Ho due amori di nipoti, sono gemelli, Alphie e Meg. Quando faccio gli esercizi in italiano mi prendono in giro perché per loro è strano che una vecchia signora come me studi (loro hanno 7 anni ).
Quest'anno mio marito e io abbiamo deciso di portarli con noi a Venezia , per la felicità di mia figlia.
A Venezia, eravamo già stati tante volte. Questa volta abbiamo fatto il tour delle isole e i bambini si sono divertiti tanto in vaporetto. Ci è piaciuto così tanto Murano: abbiamo visto come fanno il vetro, i ragazzi hanno soffiato, e per loro era come una magia.
Prima di tornare alla barca ci siamo fermati al negozio di Franco, dove ho comprato due preziosi porta-candele di vetro per il salotto.
Sulla barca mio marito li ha messi in sicurezza a terra, ma Alphie ha spinto Meg, che è caduta proprio sopra il pacchetto, e così ha rotto un porta-candele. Li abbiamo sgridati, ma è stato un incidente; avevo ancora un porta-candele.
Il volo di ritorno per l'Inghilterra non è stato bellissimo, c'erano turbolenze, tolgo il pacco dal portabagagli sopra la mia testa e sorpresa: si è rotto anche il secondo porta-candele.

Forse è destino: devo tornare a Murano.

Elisabeth, UK

lunedì 27 gennaio 2014

Carceri - Assisi


Non ci sono così tante persone, come nella basilica, non c'è quasi nessuno, c'è silenzio, qui pregano, io voglio meditare perché non sono in grado di pregare.
Ci sono piccole cappelle e natura intorno; scendendo una ripida scalinata si arriva alla grotta di San Francesco.
Nelle vicinanze, nella cappella di San Barnaba c'è un altare con il Tau. C'è pace.
Mi piace essere qui, mi sento in unione con il mondo, mi sento leggera e questo non è un sentimento che posso provare spesso, anzi così forte non l'ho mai provato.
Questa non è una di quelle cose che posso portare con me come ricordo dell'Italia, ma ho provato la grazia.
Le ore passano e io sono ancora qui, devo tornare dai miei compagni di viaggio.
Voglio comprare un tau, nella speranza che ogni volta che ho bisogno se lo guardo, ritorna un po 'di pace nel mio cuore. 
Mentre scendo alla città, ripenso a come mi sono allontanata dall'amore.
SOPHIE F., USA

martedì 21 gennaio 2014

Il biglietto aereo


Si chiamava Achille, la cosa stupiva perché era un diciottenne argentino del duemila.
Quando ho saputo che aveva una sorella che si chiamava Yocasta, ho capito tante cose.
Come potete immaginare, veniva da una famiglia più colta che benestante, ed in piena crisi economica, aveva deciso di studiare fisica, credo.
Ci siamo trovati nel contesto di una borsa di studio, di quelle rare che i governi interessati alla diffusione alla cultura italiana offrono ancora.
Siccome tanto lui quanto io eravamo assolutamente indifferenti alla follia delle compagne, che volevano ad ogni costo andare a comprare la borsetta Louis Vuitton falsa dal senegalese di fianco, abbiamo subito fatto amicizia.
Abbiamo convissuto a Genova per un paio di settimane intensissime, dove si mangiava molto, si dormiva poco e si imparava tanto.
Si avvicinava la fine del soggiorno in Italia. Le chiacchierate si prolungavano fino a notte fonda e gli abbracci si facevano più stretti.
I primi voli partivano verso i nostri paesi di origine.
All'epoca, i biglietti erano ancora di cartoncino.
Nella coda, che alla fine si divideva tra quelli che facevamo lo scalo a Rio e coloro che andavano direttamente ad Ezeiza, un silenzio scomodo si impadroniva delle nostre anime.
Ad un certo punto, Achille si è girato verso di me e con tutta solennità mi ha detto :“ Tieniti questo, non dimenticherai mai questo momento”.
Non era altro che il pezzetto di carta in bianco, che avanzava dalla stampata dei biglietti.
Qualche giorno fa, nel cassetto delle mie cose più care (foto d’infanzia, lettere di fidanzati, souvenir vari), l’ho trovato: 4x1 di carta bianca.
Achille ha avuto ragione.


ADRIANA LA BUONORA, Montevideo, Uruguay